21.10.12

Mallorca #0

Questo articolo è il più lungo che abbia mai scritto, per questo l'ho diviso in 6 post, in modo da rendere la lettura un pò più comoda. A destra trovate l'elenco. Chi riesce a leggerli tutti vince un mappamondo!

IL VIAGGIO


Il mio viaggio a Mallorca è iniziato così: una panchina spigolosa, un grosso zaino zeppo di roba, una bottiglietta d'acqua, un panino, e un bel pò di ore davanti, anche se in realtà già ne avevo alle spalle. In tutto le ore di viaggio sarebbero state 20 e mezza, ma questo io ancora non lo sapevo. Tutto sommato, andava ancora bene:

Mi sarei comodamente risvegliato da quella panchina, con la mia bottiglietta, il mio panino e si spera anche lo zaino verso le ore 05.30, mi sarei diretto all'imbarco, avrei fatto la fila, avrei fatto in controlli, mi avrebbero fermato almeno un paio di volte (non so perchè, TUTTE le volte c'è qualcosa che non va nel mio bagaglio), ed alla fine, mi sarei preso quell'aereo. Sarei arrivato a Palma alle 08.20, Andrea mi avrebbe recuperato in macchina, e saremo andati a scalare. Tutto liscio. Sveglia fissata, sono le 23.00. Avvolgo il giubbotto  dietro la nuca ad imitare una sorta di cuscino. Le luci al neon sono forti, ma gli occhi sono chiusi. Tutto sommato, va bene. Buonanotte.

Decido che la panchina mi ha rotto le palle alle 00.15 circa. E' tutto inutile, infondo lo sapevo dall'inizio che mai sarei riuscito a dormire su quello scomodissimo ammasso di ferro, seduto con la schiena piantata nel ferro, con quelle luci al neon piantate in faccia. Abbandono il mio nido, preparandomi all'idea che forse ad un mio eventuale ritorno, sarebbe stato occupato. Fanculo, corro il rischio.

Vago per l'aeroporto un pò sonnambulo, e tanto lo so, sarà una lunghissima nottata di merda. La testa mi ronza, gli occhi sono stanchi, il tutto sfumato. DEVO DORMIRE, ma dove? Per un attimo il panico si fa sentire, poi la vedo. La panchina perfetta. Lì è possibile sdraiarsi, perchè a differenza delle altre, lei non ha quei maledetti braccioli in ferro. Le luci sono persino soffuse, e soprattutto, è libera. Il fatto che sia parte di un'istallazione di arte contemporanea non mi inibisce. Io non sono un critico d'arte, sono on topo di falesia! Tutto è perfetto, la posizione, il cuscino improvvisato....gli occhi si chiudono. In culo l'arte penso, mentre mi addormento.

Mi sveglio e guardo l'orologio. Sono le 04.00. Meglio che nulla. Decido che però, ormai per dormire non è più cosa. Un giusto modo per temporeggiare è quel che mi serve. Colazione al bar. Finisco la mia brioche ed il mio succo, e sono già in fila. Sono le 05.00, perfetto. Tutto procede secondo i piani, e tutto è andato benone fino a quel fatidico.. "Si avvisano i passeggeri diretti a Palma di Mallorca, che il volo ha subito un ritardo". Sul tabellone c'è scritto due ore. Disperazione, ma poi la hostess mi rassicura:

"cambierà"

E cambiò. Adesso invece che due le ore di ritardo erano quattro.

Torno indetro e trovo una poltroncina nascosta niente male, il tempo di accomodarmi e già erano passate due ore. Mi risveglio con la musica ancora nelle orecchie, ma la batteria dell'Ipod a zero. Le due ore rimanenti a stento le ricordo, eccetto per il telefono. Un flusso continuo di sms ad Andrea per fargli capire quando cavolo arrivo.

"arrivo alle 08.20" "ok" "Andre un ritardo, arrivo alle 10.20" "ok" "No, no aspetta, le ore di ritardo sono 4! Arrivo alle 12.20" "ok"...e via così. Adesso sembra tutto pronto.

Rifaccio la trafila al gate, coda, bagaglio, skanner, biglietto, carta d'identità, ed infine sala d'imbarco. Sono circa le 10.30 quando sto per salire sul cazzo di aereo, ma ormai l'ora, il giorno, la notte, sono concetti astratti per me. L'ultimo sms concordava "areoporto di Palma ore 12.30", ma meglio chiedere per sicurezza.

"Scusi, mi può dire a che ora arrivo PRECISAMENTE?"
"Lei calcoli che ci vogliono 2 ore e mezza"
"Due ore e mezza? Mi sembrano tantine..."
"Due ore e mezza."

Non voglio chiedermi perchè, ne ho le scatole belle piene, quindi di nuovo fuori il cellulare.

"Andre, non chiedermi perchè ma arrivo alle 13.40 circa" e la sua risposta "ok".

Salgo su, spengo cellulare e cervello. Portatemi a Palma.

Una hostess mi risveglia pochi istanti prima dell'atterraggio. Siamo arrivati finalmente. Poi la voce del capitano "siamo felici di informarvi che siamo arrivati a Palma con 40 minuti di anticipo". In mezzo ad un applauso generale spero il capitano abbia sentito il mio VAFFANCULO. Altro sms ad Andrea. "Andre, non chiedermi perchè nè come, ma sono a Palma. Mi trovi sul marciapiede probabilmente morto, vieni quando ti pare, non ne posso più".

Una mezz'ora più tardi ero sul Bolide (una mitica ford fiesta da battaglia del '90) con Andre e Simo, devastato e stordito manco fossi stato ubriaco. Erano le 13 credo.

"Luca, ti portiamo a casa, si sta tranquilli oggi ok?"
"NO. Andiamo a scalare ADESSO"

Mallorca #1

SA CALOBRA


Il Bolide sfreccia per le strade di questa parte dell'isola sconosciuta, in effetti è esattamente dalla parte opposta alla costa più famosa. Ma è più vicino a casa in linea d'aria, ed avendo poco tempo a disposizione, sembrava la decisione più saggia. E lo era. Vento in faccia, sole in testa, e panorami mozzafiato. Dietro ad ogni curva, un nuovo mondo, assurdo, incredibile. Se non fosse per il mare, blu ed immenso là infondo sembrarebbe d'essere sulle dolomiti. Poi dietro quella curva, mille falesie di calcare spuntano da ogni dove, ricordando la Francia, ed ancora quella cima rocciosa la Pania secca, ma poi il lago distrae tutti, ed ancora, le incredibili formazioni rocciose che si tuffano in mare. Infinite torri di palle di calcare grigio contrastano con il verde delle palme. Che posto è mai questo? Rocklands? No....decidiamo che l'ambiente che assomiglia più a questo spettacolo è Pandora, il pianeta di Avatar per intenderci. Selvaggio, incontaminato.
Ed in mezzo a tutto questo, uno spot per Deep Water Soloing.


Le vie non sono tanto alte, nè tanto dure. Il posto ideale per iniziare e vedere se questa cosa del deep water è solo un'amore platonico e se le palle per farlo, le abbiamo davvero. Ci lanciamo sulle linee come i bambini al parco giochi, ma dal momento in cui stacchiamo i piedi da terra, la consapevolezza d'essere sul punto di non ritorno ci fa automaticamente cadere in concentrazione. Io, Simo ed Andre prendiamo le misure, pendiamo confidenza. Funziona.

Capiamo d'esser pronti a sfidare un pò più l'altezza, gli otto metri di quello spot nonci bastano più. E' stato Simone il primo a rilanciare, ed eccolo lanciarsi a vista su uno scoglione solitario di circa 12 metri. La via è facile, ma non si sa mai quali giochi strani può riservare la testa, una volta portato il culo lassù in cima, con il vento che ti scombina i capelli, il costume, ed il rumore del mare sotto a ricordarti dove sei.

"Non ci pensare! Vai Simo, vai!!"

E Simo va. Ebbravo Simo! Come i bimbi io ed Andre subito dietro. Una volta in cima, ci accorgiamo del tramonto e del paesaggio che abbiamo attorno. Le rocce ovunque sono tinte di arancione fuoco, il mare è sempre più calmo. Questo posto è magico!

Ben presto l'entusiasmo lascia spazio alla stanchezza, e quelle 20 ore e mezza di viaggio cominciano a farsi sentire, sommerse sino a quel momento da un'insaziabile voglia di salire, scalare, scoprire, giocare...la parola "ancora" che da tutto il pomeriggio mi rimbomba nella testa, viene ora scacciata e poi sostituita da una nuova.

"FAME"

Era già praticamente buio quando siamo risaliti in macchina. Una benzina al volo, per pura fortuna, e curve di Sa Calobra ci cullano fino a casa. Quella sera sarebbe stata la più lussuosa: La Micky avrebbe preparato una "pasta con le verdurine" da risuscitare i morti, il piatto sarebbe sarebbe stato caldo, ci sarebbe stata la musica, e soprattutto, avremo avuto un letto.

Mallorca #2

CALA BARQUéS


La mattina dopo tutto sarebbe stato pronto per Cala Barquès, il celebre paradiso del deep water solo, immortalato più volte in ogni documentazione di Mallorca. Un paradiso fatto di roccia arancione e bianca, strapiombi, tetti, tufas, buchi, incastri, il tutto in un contesto decisamente caraibico: acqua azzurra che sembra una piscina, pesci colorati, sabbia bianca, sole.

Parcheggiato il Bolide sopra la scogliera in meno di 20 minuti siamo già in spiaggia, che sarebbe stata la nostra casa per i successivi 3 giorni. Subito ci è chiara l'atmosfera.



Giriamo l'angolo, ed eccolo qua. Il paradiso del deep water solo, Cala Barquès.


Ci sediamo sul bordo della scogliera, e guardiamo la grotta sotto i nostri piedi penzolanti. Ci sono linee dal 6b all'8a, con un picco massimo di 16 metri di altezza. Per accedere alle linee le opzioni sono due: tuffo con nuotata fino all'attacco, oppure scendere da una via di 5° e fare campo base in una nicchia alla base della grotta, raggiungendo l'attacco della via desiderata con una serie di traversi. Vediamo scalatori di ogni tipo e provenienza arrampicare tranquilli, altri un pò meno, altri ancora vibrare, al limite. Chi scala su vie easy per scaldarsi, chi tenta il proprio progetto. C'è chi sale, c'è chi scende, ed infine c'è CHI CADE:

 tre o quattro bracciate nell'aria, qualche calcio volante, un urlo, ed infine, quell'inconfondibili SPLASH, seguito dagli applausi di tutti i presenti.

Sappiamo che le cadute fanno parte del gioco, anche quelle brutte, ma per il momento sembra tutto ok. Nessun ferito e nessu caduto, infondo oggi il mare è perfetto. Mi giro e vedo Andrea correre verso il bordo della scogliera. Ha già addosso scarpette e magnesite e cazzo, inizia a scendere dal 5°.Eccolo raggiungere la piccola cengia appena sopra il pelo dell'acuqua. In mezzo ad altri scalatori come lui appollaiati qua e là, in attesa del via libera, o semplicemente del momento giusto per andare. Dopo poco, vedo Andrea affrontare lo strapiombo, un bellissimo 6b. E' facile ok, ma vederlo scalare mi da i brividi. "Cazzo, lo sta facendo davvero!" Sembra tranquillo, concentrato. Io e Simo facciamo il tifo fino a che non se ne sbuca di nuovo in cima alla scogliera, saltellante. Cazzo devo farlo anche io!!

Scendo dal 5° e capisco che qui è decisamente un'altra storia. Ben più difficile rompere il ghiaccio partendo dall'alto di quei 16 metri. Mi accorgo che le mie mani stringono le enormi clessidre manco fossero le ultime prese da tirare nella vita. Poco dopo, eccomi appolaiato anche io. Sopra la mia testa c'è una grotta intera, e sotto, una piscina azzurra sembra dirmi "tranquillo, non succede niente se cadi". Me ne rendo conto e sono già a metà della via, e del mare sotto, me ne frega niente.

Penso a scalare, a salire, a giocare. Mi concentro sul movimento, sulla roccia. La interpreto, la sfido e lei sfida me. E' una sensazione incredibile. Un mix di concentrazione, adrenalina, emozione. Tutto attorno a me sparisce. Sparisce l'altezza, spariscono gli osservatori, il tifo, l'acuqua...sparisco io stesso.

Ancora qualche passo ed eccomi scollettare. Sono in cima, e ne voglio ancora. PArlo con gli altri e siamo d'accordo, è ufficiale. La paura di cadere è rimasta in aereo.

Quella giornata ci avrebbe regalato diverse soddisfazioni. Qualche 7a, 7b a vista rendono tutto sempre più elettrizante, ma non è il grado che ci interessa, ma l'insaziabile voglia di farne un'altra di via, dura, facile od insignificante che fosse. Una droga.

Il trofeo del giorno per me sarebbe stato "Metrosexual" 7a+ a vista, nella seconda grotta.


La linea partiva da sinistra, e traversava sotto il muro più compatto ed evidente, passando per la colata arancione attraverso i buconi, per poi uiscire dritto. Estasi: la roccia era arancione fuoco color del tramonto, la gente cominciava a rientrare in branda, dando a tutto un'aria più intima. Attacco la via, salendo come sempre pensando solo a scalare. Non penso ad una eventuale caduta (mi scivola un piede, sbaglio la sezione, mi emoziono e semplicemente vengo giù), ma concentrato salgo, gioco e mi diverto come non so descrivere. Un viaggio. Unico, puro, bellissimo. E' tutto fottutamente perfetto, ed alla fine, eccomi qua, in piedi, in cima.

"Tirati!!!!" gridano quei due.

E mi lancio.

Ancora ne stavamo parlando la sera, alla luce di una luna piena, passeggiando sulla scogliera. Si vedeva il fondale anche di notte, tanto era limpida l'acuqua e chiara la luce del satellitone.

Quella sera avremo dormnito sulla spiaggia, precisamente nella pineta adiacente, o meglio: Andrea e Simone ci avrebbero provato, solamente io però ci sarei riuscito, e pure russando, seppur sprovvisto di materassino!

Mallorca #3

GIORNO 3


E' il sole a buttar fuori dalle tende, dai sacchi a pelo e dalle capanne improvvisate con bastoni ed asciugamani l'esercito di arrampicatori di Mallorca, che uno ad uno, ancora sbadiglianti, si recano sulla spiaggia, chi per un tuffo, chi per una nuotata, un pò di sleck line, chi per prendere il sole e chi semplicemente per cercare i propri colleghi, persi chissà quando la sera prima.

Così io Andre e Simo ci ritroviamo, e se non fosse per la consapevolezza che dietro a quell'angolo c'è un mondo di roccia, scogliere perfette e linee mozzafiato a provare, sembrerebbe davvero una vacanza all'insegna del fancazzismo da spiaggia.

Un panino, una nuotata e poi via, pronti, già con le scarpette ai piedi e la magnesite liquida seccata nelle mani. Riprende il gioco. Decisamente più disinvolti, scendiamo, risaliamo, traversiamo e saliamo di nuovo. E' tempo di alzare la posta. L'obiettivo era quello di portarsi a casa quest'oggi, "TRANSEXUAL", 7b, bellissima linea che parte come Metrosexual ma che questa volta traversa basso sotto il muro col buco ed esce a destra, su una serie di bombè, il primo bianco ed il secondo grigio, dove sta quel famosissimo lancio finale a circa 15 metri che rende la via una pietra miliare.

(Metterei una bella foto della linea qui, ma sinceramente ho paura a cliccare transexual su google. La foto di prima andrà benissimo, un pò di immaginazione!)

Mi attivo, e sebbene la via sia ancora in ombra nella seconda grotta, decido di attaccarla lo stesso. Troppa voglia! Le prese sono bagnate, dato che il sole ancora non ha asciugato via il salmastro da questo fantastico calcare a buchi. Ma vado. Sono un pò freddo forse, ma non mi interessa, voglio scalarla! Salgo a vista, e perdo un pò di tempo per trovare le prese giuste, le sequenze giuste... procedo, ma lento. Dopo qualche difficoltà eccomi al riposo finale, tra il bombè bianco e quello grigio. So cosa mi aspetta, e sebbene io sia di molto acciaiato, cerco di rimanere concentrato. A momenti il rovescio di riposo mi scivola via dalle mani, proprio mentre recupero. Tempo di partire, o sarà troppo tardi. Sta volta il tifo lo sento, ma poi parto, prendo il buchetto, aggancio la punta, accoppio, scarrello i piedi...intermedio, alzo i piedi. Intrevedo la presa su cui devo planare, e mi stupisco. E' veramente un lancio vero! Salto con tutta la mia forza nonostante le braccia pulsanti, perdo i piedi ma le mie dita sono già dentro al buco, anche se...o no! L'ho presa male! Le dita non vanno affondo ma si sono accavallate sul bordo! Cerco di sistemare i piedi ma lì capisco, che non c'era più niente da fare. Era giunto il momento, di cadere. 

In un attimo la roccia scompare dalle mie mani, la grotta si allontana. Adesso guardo giù, l'acuqua si avvicina...proprio come avevo visto fare, un urlo, un paio di bracciate in aria e..... SPLASH.

Riemergo, nuoto e raggiungo i miei compari appollaiati ai lati della grotta, ancora in preda alle risate, e mi unisco a loro, anch'io ridendo divertito. Che figata! Più esaltati che mai, ce ne torniamo alla prima grotta, questa in pieno sole, asciutta, dove si trova la linea che Andrea aveva puntato il giorno prima. Si tratta di una prua leggermente strapiombante rossa ed arancione di 7a, costellata di una serie di biditi e tacche leggermente svase. Una placca in fin dei conti.
 
Deciso nel tentativo a vista nonostante la stanchezza accumulata nei due giorni passati, eccolo lanciarsi all'avventura. Scala lento, prudente, preciso. Si vede che è concentrato e che non sta minimamente sentendo me e Simone urlare a squarciagola, tifando per lui. Alla fine, senza troppi problemi se ne esce in cima, fregandosene dell'altezza nonostante la tensione che aveva accumulato pensando a quel momento, quando ancora era con i piedi a terra.

E così, motivandoci l'un l'altro, rieccoci attaccare l'ennesima via, ancora e ancora, finchè non viene sera.

Ancora una volta il tramonto mi porta fortuna, quando decido di ritentare la via trofeo e riesco a scalarla sta volta tranquillamente, spenzolando qua e là provocando la roccia e l'acqua sotto di me.

Sembrava tutto finito, soddisfacente. Anche oggi ci eravamo portati a casa un bel trofeo a testa, ed anche qualche altra bella linea a vista. Ma c'era ancora luce, c'era ancora roccia, c'era ancora voglia. La forma fisica era quel che era, dopo una giornata di deep water, e allora perchè non mettere le mani sulla torta più bella?


Ricordo di aver visto la linea di "Bandito" per la prima volta in un contenuto speciale del film King Lines, di Chris Sharma.  Al tempo era data 8a, adesso 7c. Mi aveva impressionato la bellezza delle linea, e l'eleganza con cui il corpo veniva sputato via dalla roccia in quel lancio. Il movimento perfetto. Il caricamento, schiacciato contro questo tetto di calcare, il salto nel vuoto verso quel banchetto che si vede uscire in fuori. Poi la bandiera, i piedi che arrivano all'altezza delle mani, ed è lì che si capisce se passerai, oppure se cadrai. Nel primo caso i piedi rientrano all'interno, e si rimane sospesi a mezz'aria, indecisi su come procedere. Chi viene silurato invece, chi non ha il permesso di salire Bandito, verrà scalciato via all'istante, ed attererà in acqua di lato, battendo le costole.

Capita molto spesso di vedere passare scalatori bagnati, che si tengono il costato, doloranti.

"Bandito eh?"
"...yeah...so close...."

Avevo memorizzato bene la sequenza ben prima di venire a Mallorca. Non avevo scuse. Non più.

Parto col mio primo tentativo su Bandito, intenzionato a non farmi fregare da quel lancio. Per mia fortuna il cruz è subito all'inizio, questo è un bene per le mie braccia, ancora stanche dalle mille vie scalate in due giorni. Il tempo di concentrarmi e sono già là, a guardare la banchetta. Sono praticamente a testa in giù, e so che serve tutta la coordinazione del mondo per prenderla bene e non schiantarmi nell'acqua. Basta pensare. Sparo.

I piedi si staccano, come la forza centrifuga vuole, ma la mano afferra quella banchetta, e non la lascia. Controllo la bandiera, e dopo qualche istante capisco di averla tenuta. Sono salvo. Ma non c'è tempo per esultare, la banchetta c'è ma l'ho presa male, non duererò molto qui penzolante. Devo risistemarla immediatamente o cadrò! Dopo qualcuno di quei momenti che sembrano non finire mai, il corpo non tiene, ed infine, eccomi a squazzare verso la base, con il sorriso di chi accetta una sfida.

Aspetto giusto quei 5 minuti affinchè le mani siano asciutte, pronte per l'uso della magnesite, e riattacco la via. Questa volta, il lancio è perfetto, e non perdo tempo. In un attimo su i piedi, e via. Ad improvvisare sul traverso che mi porterà al riposo a metà via e poi a quello finale. La via finisce sul 7b, quindi per portarmela a casa devo per forza riuiscire di nuovo in quel lancio. Non posso sbagliare, non riuscirò mai a tornare qui oggi! Riposo, riposo. Poi avanzo, verso il rovescio finale. Sto bene, posso farcela. 

Parlo alla mia testa, cercando di tranquillizzarla. Sento l'emozione farmi tremare i piedi, le gambe. No. Rimani concentrato. Non puoi cadere ora.

Poi parto, per quell'ultimo passo, quel lancio su cui avevo visto cadere più di una persona che era riuscita a passare dal boulder sottostante, quello del lancio. Non è ancora detto, ma vedi di farlo cazzo!

Di nuovo, aggancio, accoppio, scarrello. Lancio, ed il buco lo prendo. Perdo i piedi, e lì, faccio la cazzata. Sono zuppi d'acqua ancora, e potrebbero scivolare, così, non li rimetto. Rilancio con la sinistra senza piedi, e manco la presa di un centrimetro. Cado giù e sta volta, sembra non finire mai quella caduta. Merda. Sono un idiota.

SPLASH.


Un pò amareggiato, me ne torno al campo base, sapendo che c'è ancora un giorno a disposizione, anzi mezzo, dato che la consegna del Bolide e della casa era prevista per le 16 del giorno dopo. Chiudo gli occhi quella sera sapendo di avere una mattina a disposizione per giocare bene le mie carte, e rendere tutto perfetto. Sono carico, deciso. Domani sarà mia.

Mallorca #4

GIORNO 4



L'aria è tesa, ma io di più. Le condizioni ci sono, il sole anche. La via è là, ma il tempo scarseggia. Non parlo molto, poichè dovete sapere, sono campione del mondo di QUASI. Più di una volta l'emozione e la tensione nel cercare di mettere la cigliegina sulla torta, nel rendere tutto perfetto, mi hanno giocato brutti scherzi. Cadere davanti alla catena è l'emblema di questa mia capacità. Ma questa volta non posso farmi prendere dall'emozione, non ora, non qui, non questa via. Basta pensare. Mi scaldo. Guardo l'orologio. Devo tentare. Mi avvio verso la seconda grotta, e so benissimo che la troverò ancora all'ombra. Le prese saranno un pò bagnate, le condizioni sfavorevoli. Ma non ho il tempo di aspettare il sole. O così, o niente. Cerco di non pensarci mentre mi metto le scarpette. Scendo dall'alto ed eccomi sotto la via, ancora una volta.

Sembra un duello western, c'è silenzio. Gli altri mi motivano, mi fanno il tifo, mi rassicurano, ma lo sanno loro e lo so io, che ho tempo per un solo tentativo. Uno soltanto. La tensione mi attanaglia la gola. DEVO farcela.

Poi parto, e tutto sparisce.

Andrea la chiama "la bolla". E' quello che devi fare con la testa nel deep water soloing. Una bolla protettiva. Le paure, le tensioni, i pensieri, fuori.

La bolla è leggera, e sale, sale sempre più.

Solo per un attimo, mi rendo conto d'essere di nuovo fuori dal lancio. L'ho fatto un pò fa, a stento lo ricordo. Adesso, riposo.

La bolla non ha peso.

La bolla sale.

Rovescio. Tranquillo. Prendi fiato, e fai questo lancio.

La bolla si richiude, e taglia tutto fuori.

E' priva di peso, e se la stringi, ti porta su, come un palloncino, una piccola mongolfiera.

E così, il lancio non è più un lancio, la fatica non è più fatica, le prese scorrono sotto i miei occhi, e alla fine, "puf", eccomi in cima, in piedi. Sotto di me, Bandito, un sogno divenuto realtà.

Come da tradizione, respiro, e poi, con un salto, giù.

20.10.12

Mallorca #5

DOPO


Il viaggio di ritorno sarebbe stato l'ennesima avventura. Dopo aver tristemente salutato il Bolide, era il momento di temporeggiare il resto del pomeriggio. Il modo migliore di farlo era un giro nel centro di Palma, capitale dell'isola, e tra antiche mura, stradine trafficate ed artisti di strada, eccoci finalmente a brindare a quella che già sappiamo, sarà una settimana che mai avremo dimenticato.

La sera festa in compagnia di un paio di amici Mallorchini, e poi via, dritti all'areoporto alle ore 02.00 di notte. Sappiamo cosa ci aspetta, ma questa volta la stanchezza è dalla nostra parte, ed infine, dopo un breve boulder contest in autobus, il sonno ha la meglio e ci accoglie sul freddo pavimento della sala d'aspetto.

I ricordi sono sfumati dopo il riveglio. File interminabili, controlli vari ed infine, nemmeno il tempo di dare l'ultimo saluto alla nostra Palma che già dormiamo profondamente, sui "diversamente comodi" seggiolini dell'aereo.

Il giorno dopo mi sveglio a Viareggio, e mi ci vuole un pò per rendermi conto, che non sono più a Cala Barques. Poi il telefono squilla. E' Andrea.

"Luca, stamani mi sono svegliato, ho fatto colazione, e sono andato sul terrazzo. Soltanto una volta spalancata la finestra mi sono reso conto di non essere più a Mallorca"



3.9.12

"PLAY"!


Cosa hanno in comune queste due foto, una via ed un film, in particolare QUESTA via e QUESTO film? Beh lo ammetto, in apparenza proprio niente, e niente in comune avrebbero se non fosse per quell'unica cosa, quel particolare: il nome!

Si, in effetti una piccola differenza anche in quello c'è, poichè sulla celebre pellicola dei fratelli Coen si parla di un paese, mentre sul calcare di S.Rocchino è una via a non essere per vecchi.

La cosa del nome è carina si, ma se vi dicessi che non è l'unica coincidenza? Se vi dicessi che c'è un'altra cosa che hanno in comune, una cosa che ha decisamente a che fare con me e a come ho passato il mese?

Naturalmente io non potevo ancora saperlo, quando appunto, all'inizio di questo agosto traditore ci misi le mani ancora martoriate da due giorni di dure battaglie verticali alle finali del Salewa Rock Show in Germania (dove ho conquistato un sudatissimo 2° posto). Subito dopo la gara infatti, davanti avevo un bel mese di scalata e, approfittando della chiusura estiva del Bside, l'idea era quella di chiudere io qualche conto in sospeso in Toscana.

Così, giusto il tempo di salutare, prendere lo zaino e via, preso il volo diretto Friedrichshaffen-S.Rocchino.




Una volta ai piedi della falesia si, avevo notato il nome della via, seguito dal desiderio forte di scalarla. Non stavo più nella pelle, ma una volta iniziato a scalare nella pelle non ci stavo davvero, letteralmente questa volta. Dal vano tentativo proprio su questa "Non è una via per vecchi" alla sedia e alla scrivania che mi dividevano dal dermatologo è stato un attimo, come in un attimo si è conclusa la sua tesi: Vietato scalare, mettere pomata, soprattutto mettere pomata e soprattutto VIETATO SCALARE.

Col morale e le braccia a terra me ne torno a casa, con in testa solo due parole "Irritazione" e "cutanea". C'era anche la parola "Vaffanculo" in effetti, ma lasciamo perdere. Abbattuto. Non c'era storia: addio conti in sospeso, addio scalare, addio S.Rocchino.

Dopo un paio di giorni passati nel completo abbandono a me stesso, nel caos di una stanza che non è mai stata abituata ad avermi tra le balle più di tanto, decido che era il momento di reagire: avrei impiegato il tempo dedicandomi a tutte quelle cose che avevo trascurato negli ultimi mesi, per far spazio all'arrampicata.

Eccomi quindi passare un agosto all'insegna della riscoperta del disegno, della musica, della scrittura, e soprattutto, all'overdose di film che mi ha portato diversi passi più vicino al nesso che lega appunto, le due foto all'inizio dell'articolo: il cinema!

Ho sempre avuto una grande passione per il cinema, tra i miei motivi per vivere infatti ci sono diversi titoli di film senza i quali non voglio proprio pensare come sarebbe la mia vita, come sarei io, film che mi hanno condizionato, o che semplicemente, mi piacciono tanto, senza tanti fronzoli.

Così, a volte andando a colpo sicuro, altre azzardando un poco, ed altre decisamente seguendo l'istinto, eccomi come un segugio a gironzolare per negozi scegliendo accuratamente i pochi e fortunati film che avrebbero riempito i miei sacchetti e le mie giornate. Dopo a volte ore di analisi accuratissime, una corsa a casa nella mia apposita postazione da film: divano, tv, luci spente, sacco di patatine unte ad attendermi, dvd inserito, telecomando in mano e.......PLAY.


(Ok, mi ero ripromesso di non dare indizi, ma non ho resistito!!)

Qualcosa è cambiato in me, difatti per la prima volta guardavo o RIguardavo film con un occhio decisamente diverso, soffermandomi non più solamente sulla trama e sui personaggi, ma sulla regia, la sceneggiatura, accorgendomi che scrivere film, non era poi tanto diverso dal disegnare storie, anzi, può essere decisamente affascinante poichè permette di fare ciò che avrei sempre voluto fare: unire immagini e musica!

Naturalmente non ho perso tempo, dal momento che dovevo star lontano dall'arrampicata ed avevo del tempo da riempire. Era tanto che non viaggiavo sulla carta, e provare a scrivere cortometraggi mi ha elettrizzato tanto da farmi iscrivermi di punto in bianco ad una scuola cinematografica a Torino, per imparare e studiare tutto questo mondo che sta dietro alle cineprese, ai copioni, agli attori, ai "ciak si gira" che in poco tempo mi hanno appassionato e colto alla sprovvista, sorprendendomi almeno quanto questi ultimi giorni toscani, quando la mancanza dell'arrampicata cominciava piano piano a farsi sentire da dietro tutto questo interesse per il cinema, facendomi lentamente pesare il fatto di dovermene tornare al Bside con un pugno di mosche.

Qualche giorno prima spinto da alcuni amici mi ero deciso a ritoccare la roccia. Le mani sembravano essere migliorate molto, anche se il dottore avrebbe avuto sicuro da ridire dal momento che non ero ancora al 100%, ma in genere me la cavo bene quando c'è da reagire all'ultimo secondo, quando ho l'acqua alla gola. Magari valeva anche questa volta, chi poteva saperlo?Camera mia ha deciso infine di sbattermi fuori dalla porta con lo zaino in spalle impedendomi di pensare troppo ai "se" ai "ma" e ai mille "forse".

Era l'ultimo giorno per me in toscana. La corda nuova diceva "think less, climb more", la macchina diceva "go big or go home", Virgin Radio sembrava dire "A MUERTE!!!" ed infine la mia testa diceva "Non è una via per vecchi".

Sangue sulla roccia, ma mi sentivo leggero, ed alla fine, nonostante un inghippo in catena, proprio come nei film il lieto fine è arrivato.


Una volta sceso, guardo le mani e penso che quello era il prezzo del volersi muovere (io-scalare) anche quando non si potrebbe (dottore-visita).

Presa la macchina, scendo lungo la strada per far tappa al Castellaccio, dove mi aspettava una bella pastasciutta avanzata dalla sera prima ed un brindisi in compagnia del resto della banda, il tutto accompagnato da qualche chiacchera inedita, ma è soltanto dopo che noto la coincidenza, il culmine di un mese ricco di alti e bassi, scoperte e riscoperte, scelte e strade da prendere, direzioni da seguire e che non si sa dove porteranno, e mi rendo conto di quello che è infine, il nesso tra le due foto, tra quel film e quella roccia, tra quella serie di scene e di quegli appigli, tra il cinema e l'arrampicata:

IO!


"Non è una via per vecchi", 8a+

22.6.12

A way of life


E' bello quando si ha la voglia di raccontare, di dar pace a quella voglia di metter nero su bianco i propri pensieri, o semplicemente parlare di tutte le cose che hanno caratterizzato un periodo particolare, ed al tempo stesso non avere il tempo, o meglio, non fare in tempo, poiché mille sono le cose che succedono, una dopo l'altra! A me personalmente questo mese non è rimasto altro che aspettare, aspettare il giorno in cui tutte queste cose (per fortuna belle) avrebbero rallentato un po', permettendomi qualche minuto per scrivere questo articolo, e sembra proprio che adesso abbia il tempo per partire, ancora una volta, dall'inizio!

E' stato uno dei periodi più intensi della mia vita, più ricco di cose, di avvenimenti ed eventi, che, tanto erano spinti da nuovi impegni e nuove storie, non hanno avuto il tempo di maturare in un racconto degno della loro importanza. Come quando si riesce nella salita di una via, quando il moschettone della catena scatta in un dolce “clac”, o nel momento in cui gli ultimi movimenti di un boulder diventano passi e poi corsa versa la cima, e già le mani sono alzate al cielo, non ci si rende mai conto fino in fondo di ciò che abbiamo fatto, finchè non ci si ripensa su, magari sorseggiando una birra in compagnia degli amici, o semplicemente rivivendo i momenti passati la sera stessa, da sotto le coperte del proprio letto, con gli occhi ancora aperti al buio, increduli.

Per me è stato così alla salita di “Icaro”, il mio primo 8a di boulder ufficiale.
Luca Andreozzi - Icaro


Ho provato tante volte a prendere la tastiera e a scrivere di quella giornata così speciale. Nella mia testa era già tutto pronto, tutto scritto, ma mille erano le cose, ed il tempo alla fine, non c'era mai. Tra quelle mille cose ci sono state le famose giornate di pioggia al tetto di Sarre, dove noi, coraggiosi ed irremovibili Bsiders, muovendoci tra spunzoni di ferro arrugginiti, caselli autostradali, rotaie e treni pronti a sfrecciare sotto i nostri culi, abbiamo strappato qualche ora di fatiche e risate, il cui ricordo è impresso per me su "Smalto", 8a+.

Sempre tra le mille cose c'è stato il Salewa Rock Trip a Cala Gonone, in Sardegna, dove ad aspettarmi in catena ad una via, oltre al solito "clac", c'era un viaggio in Germania per la fiera mondiale dell'arrampicata, dove si disputerà la finalissima con tutti i vincitori dei vari Trip in giro per l'Europa.

C'è stata poi una domenica molto impegnativa e ricca di sorprese, dove l'arrampicata da gara e da falesia hanno trovato un giusto equilibrio, per una volta. La mattina si disputava infatti la seconda tappa di Coppa Italia boulder, dove la concentrazione e la voglia di andare al 200% mi hanno spinto alto sui blocchi, fino a conquistare l'8° posto. Nel pomeriggio dopo la gara, niente di meglio di un pò di roccia. Niente flash, pubblico telecamere, solo due rondini decisamente fastidiose per un pò di scalata no stress. Scalando mi libero della tensione accumulata in gara, e reso leggero dal bel risultato ottenuto, soltanto il "clac" della catena di "Cavalcando l'airone" 8a, mi riporta con i piedi a terra, con un nuovo ed ulteriore motivo per sorridere.


Ma ancora una volta non c'era tempo per festeggiare, infatti, quando si parla di Ceuse, bastano poche parole per scattare in piedi come un soldatino, saltare al volo sul primo treno per Torino, preparare lo zaino, e partire.

“Finito la gara. Quando si parte?”
“Domani!”

Così il giorno dopo salto in macchina col Boss caporale del Bside Team Mr. Gabri Moroni e via verso chilometri di calcare azzurro a buchi.

Il meteo ci da subito il benvenuto, punendoci con una fitta grandinata la prima sera, cucinandoci per bene con freddo e vento glaciale nei due giorni seguenti, abbindolandoci con un cielo stellatissimo, per poi darci il colpo di grazia il giorno dopo con temperature che scioglievano i sassi per tutto il resto della settimana. Il sentiero era inoltre lì pronto ad aspettarci, illudendoci che ci avrebbe portato in falesia in poco tempo, e con meno fatica del giorno prima....ci accorgevamo della fregatura sempre troppo tardi! Devo dire che nonostante non abbia fatto quasi niente, tutti i motivi del mondo non saranno mai abbastanza per odiare Ceuse, o anche solo per dire che il viaggio non ne sia valso la pena. D'altronde, in mezzo a tanta bellezza, a tante linee così perfette da sembrare dipinte, di fronte a così tanta bella roccia...come si può non esser felici anche solo di esserci?


E' stato proprio il non scalare a mostrarmi il lato più bello di questo viaggio a Ceuse, ovvero il vedere come ancora molte persone vivano l'arrampicata come uno stile di vita, senza ridurlo unicamente ad uno sport qualsiasi da grandi numeri, dove conta, (scusate la volgarità) chi cel'ha più lungo. Mi piace pensare che la scalata sia molto di più della prestazione in sé per sé, ma che in essa trovi la sua espressione migliore. C'è molto più dei muscoli a tenerci su e a farci muovere per il mondo alla ricerca dei più bei pezzi di roccia da scalare, da interpretare, e vedere persone che da tutto il mondo vengono solamente per scalare belle vie, aldilà delle prestazioni è stato semplicemente bello. Allora eccoci là, una bella spesa al supermercato a base di pastasciutta e tristi ma convenienti sughi “Panzani”, scalare fino a buio, scendere con le scarpe rotte, con una frontale in tre e poi tutti invitati nel furgone del Vieri, dove tra un piatto e l'altro, chiacchere e racconti vari, passano le ore e le serate sotto all'imponente panettone azzurro di Ceuse.



Andiamo a dormire quando il sonno ci accompagna alla tenda, ci svegliamo solo quando il sole ci butta fuori. La mattina cereali, un caffè, con la promessa di ripartire subito dopo, ed infine (dopo qualche oretta), partire, con la voglia di scalare a far sembrare meno in salita e persino più corto quel maledetto sentiero!






Che dire, la morale è sempre la stessa, e per chi scala è facile da ricordare quanto da riscoprire ogni volta, ad ogni viaggio, ad ogni via, ad ogni passo verso l'alto. Cosa sia l'arrampicata, il perchè sia così tanto speciale e diversa da ogni altra attività io ancora non saprei proprio dirlo. Forse l'unica conclusione che posso trarre, è che la scalata sia molto più vicina a ciò a cui è fisicamente più lontana di quanto non si pensi: 

non uno sport, non un'attività, un passatempo....ma un'arte, uno stile di vita.



E così ci si rinnamora volta per volta, al solo tocco della roccia, alla scoperta di un nuovo blocco, una nuova via, un nuovo movimento, una nuova interpretazione, una nuova tela su cui dipingere quest'arrampicata:

Il furgone sfreccia tra le strade più strette ed in salita di sempre, la musica asseconda le curve, le risate, e noi altri arrampicatori in cerca della linea perfetta. Un pezzo di roccia scorre veloce sotto i nostri occhi nascosto da anni di vegetazione e solitudine. Scendiamo al volo, afferrando crash pads, scarpette magnesite e spazzole varie, con la voglia di teletrasportarsi là, sotto quella pinna di roccia bianca che fuoriesce dal verde e dall'azzurro.....

Uno stile di vita.

30.4.12

Finally, Jerry



Vorrei dire così tante cose che davvero, non saprei da dove iniziare. istintivamente partirei dal fondo, dal motivo che mi spinge a scrivere questo articolo, e che mi emoziona di nuovo, ripensando e rivivendo quel preciso momento, per raccontarlo qui, adesso. Per la prima volta davvero non so come cominciare, quali parole usare. Vorrei arrivare già alle 21.00 del 21 Aprile 2012, ma so che avrebbe poco senso per voi. Devo assolutamente partire da prima, da molto prima, per far capire! Ci sono infatti giorni, settimane, mesi e pezzi di vita che separano l'inizio di questo racconto da quell'imbarazzante “please forgive my english”. Non è facile. E' circa la terza volta che riscrivo questo articolo, e spero davvero sia quella buona. Devo solo cercare di partire dall'inizio....un bel respiro...via!

Era in una piovosa mattina di Novembre 2011, quando al Castellaccio, svegliandomi con gran pigrizia dal divano più comodo del mondo, mi ritrovai a scorgere su una mensola una serie di libri e riviste, tra cui spuntava un nome leggibile anche da quella distanza.

“Topo di Falesia”

In casa riecheggiava soltanto musica, odore di caffè appena fatto, ed il ticchettio della pioggia sul tetto e nei vari secchi sul pavimento, preventivamente sistemati sotto i buchi sulle nostre teste.

Nessuno parlava, semplicemente stavamo bene, e ci godevamo quella domenica di lento relax.

Mi avvicinai alla mensola, presi il libro.

“Jerry Moffat”

Lo sfoglio. Inizio a leggere.

Erano gli ultimi giorni dello stesso Novembre, quando nel mio letto a Viareggio, sempre una mattina, all'improvviso, si fa sentire. Non sapevo bene cosa fosse, semplicemente niente era uguale a prima.

Sentivo chiaramente, che qualcosa nella mia vita sarebbe cambiato radicalmente.

Dicembre 2011.

Mi ritrovo a passeggiare per Viareggio, a scalare nelle mie falesie camaioresi a parlare con amici e ad osservare casa e camera mia. Capisco.

Il capitolo era finito. 
Dovevo partire ed andarmene via. Andare avanti, da qualche parte.

10 Gennaio 2012.

Il treno ci mette un po' a muoversi, infine scricchiola, fischia un po', ed infine parte. Mi siedo al mio posto, sfilo dallo zaino il libro. Guardo ancora un po' la copertina prima di riprendere a leggere.

“Jerry Moffat, Topo di Falesia”

Lo stesso giorno arrivo nella mia nuova casa. Collegno, periferia di Torino. Poso lo zaino, sistemo le mie cose. Il libro sul comodino.

Saranno tante conoscenze, nuove e vecchie. Saranno tante soddisfazioni, debutti, finali, podi. Saranno appigli di resina, saranno granito, kebab al volo, corda, crash pad, saranno pastasciutte burro e tonno, sarà il top della finale del Tcc al Bside, saranno insalate e le solite uova, saranno un ottima Coppa Italia a Milano, saranno polpastrelli lacerati, autobus senza biglietto e tanti chilometri...e sarà sentirsi un pò come lui, rivivere le stesse sensazioni... Ogni volta che riaprivo il libro per un nuovo capitolo, una nuova avventura del mio eroe, eccolo a sorprendermi ancora una volta con i suoi incredibili racconti:

Eccolo partire per una via, che chiudo subito il libro per non scoprire niente di niente. Frettolosamente lo rimetto nello zaino ed esco di casa, vado incontro al mio giorno....e penso a lui. L'ho abbandonato proprio nel bel mezzo del tentativo onsight, oppure proprio allo start del boulder della vita. Chissà come andrà a finire? Non riuscivo a resistere mai più di tanto, e molto spesso riaprivo il libro dopo pochi minuti, altrimenti si stancava a stare lì attaccato e per di più tutto schiacciato tra le pagine di un libro!



“Jerry Moffat”

Leggo lentamente. Mi regalo qualche capitolo nuovo ogni tanto, oppure rileggo i vecchi. Non voglio che finisca. 

Era il 3 Marzo 2012 quando mi ritrovo a passare una nottata intera a filosofeggiare sul “lancio di Jerry”. Il 4 mattina ebbi l'ennesima conferma, di quanto ancora una volta, Jerry mi aveva insegnato qualcosa. Jerry. Sempre lui, lì a darmi la spinta iniziale per ogni cosa, ed al tempo stesso prendermi in giro, facendo sembrare così evidentemente mie certe sue parole.
Ed in breve quel nome, Jerry Moffat, era diventato la risposta a molte domande.

Fu proprio quel nome che sentii dire ad un amico il 18 Marzo 2012, in uno dei soliti allenamenti e pomeriggi passati al Bside.

“Vieni al Salewa Rockshow al Punto, ci sarà Jerry Moffat in persona.”

Primi di Aprile 2012.

Sono in macchina, sto guidando. Il finestrino leggermente abbassato lascia entrare un po' di aria. Davanti ho un sole accecante, un po' di chilometri e tante belle giornate di arrampicata. In bauliera un crash pad, imbrago, scarpette rinvii e corda, e soprattutto, una tenda.


E' il 21 Aprile 2012, ero al Punto, a Borgo San Dalmazzio, ed avevo appena iniziato la mia gara, quando all'improvviso, in mezzo alle mille persone presenti, lo vedo. Ero appena riuscito a richiudere la bocca e a far rientrare gli occhi al loro posto quando in un attimo sparisce. Un fantasma. Ma era lui.
L'ho visto! 

Qualche ora dopo, sarò lì, davanti a lui, impalato e con un sorriso da ebete, e sarà davvero lui. Jerry Moffat. In persona.

Gli stringerò la mano, con ancora il fiatone addosso della mia prova in finale. Lui non lo sa, ma quello che sto pensando, è che quella mano che sto stringendo è la stessa che nella copertina di un libro che ha cambiato la mia vita afferra saldamente il bordo di Ulysses in free solo, la stessa che afferrò quella presa così lontana in finale Coppa del Mondo a Leeds, nell'89. Inutile dire quante prese, quante vittorie, quante onsight, quante first ascents...quanti miracoli abbiano fatto ed abbiano stretto quelle mani. Dopo qualche istante inizierò a farfugliare miserabilmente, senza riuscire a spiccicare una parola d'inglese.

Sento che la traduttrice simultanea al fianco di Jerry mi sta guardando.

Non se ne parla bella. Questo è Jerry Moffat, è davanti a me, e tu non hai nemmeno una vaga idea di quanto nessuno possa interferire con questo momento. Finalmente mi esce qualche parola.

-“......please forgive my english, I'm too exited”
-“No, it's ok!”

Sono circa le 21.00 del 21 Aprile 2012, e sto parlando con Jerry Moffat.

Quando torno a sedermi sedermi al mio posto, sono letteralmente ubriaco di emozione.

"Luca, hai vinto!"

Ho parlato con Jerry Moffat, proprio lui in persona.

"Sei primo, hai vinto!"

Jerry...

"Luca, sei primo, hai vinto la gara!"

Moffat...


Sono le 22 circa, quando il mio nome viene chiamato sul palco. Avevo vinto la gara, e lì, a premiarmi, c'era proprio lui. Poco prima di scendere dal palco, io rimango ancora un po', giusto il tempo di dire guardare Jerry. Mi aveva promesso una cosa, e nessuno dei due se ne era dimenticato.

Il tempo con Jerry sta per finire. Ho tempo di scambiare ancora qualche parola dopo la sua serata.

Sono le 23.40 del 21 Aprile 2012.

Me ne torno a casa con qualche foto di troppo con il mio eroe, il mio idolo, e con in mano il libro che ha cambiato la mia vita. E' diverso questa volta. Se apro la prima pagina, c'è una scritta.

“To Luca, great to met you. Cheers, Jerry Moffat”





17.3.12

Bside or Die!

Bside or die

Sebbene abbia fatto gare per diversi anni, non ho mai pensato di essere un grande garista. Riconosco che possa suonare strano, soprattutto se mi guardo indietro e penso ai successi in gara che comunque ho ottenuto. Mi è capitato di fare ottime gare, e portare a casa bellissimi risultati. Prima di smettere conquistai infatti diversi titoli italiani in giovanile, e feci buoni piazzamenti in coppa europa. Ho anche diversi "ricordi indelebili" legati al mondo delle gare, e questo non posso negarlo. Ma niente di tutto ciò mi ha mai fatto cambiare idea. Non mi reputo molto competitivo, anzi. Più di una volta sentire il minimo di competizione ha portato la timidezza a prendersi piano piano possesso di me, fino a farmi venir voglia di nascondermi, prendere le mie scarpette, infilarle nello zaino ed andarmi a rifugiare in qualche falesia, lontano dalla folla, dai flash, dallo stress, e dove l'aria è aperta, il sole caldo, ed il silenzio spezzato solo da sane risate tra pochi amici.

Sicuramente questo fu colpa di "overdose" di gare, che mi portarono ad accumulare tanto, troppo stress fino ad esplodere, ed è sempre per lo stesso motivo che più o meno nel 2009, dovo essermi preso il titolo italiano con i denti, le unghie ed il cuore (forse qualcuno ancora se lo ricorda), decisi di appendere il pettorale al muro, promettendomi che non avrei più preso parte a nessun tipo di gara. Il patto è stato mantenuto per anni, ed in modo ermetico.

Quando mi sono trasferito a Torino, sono venuto a contatto con un mondo totalmente diverso da quello a cui ero abituato. Qua si respirava entusiasmo, e voglia di fare. L'aria era carica di motivazione, sana. Tutto questo si traduceva in una cosa: Bside Team Plus, un gruppo di ragazzi più o meno miei coetanei che scalavano forte e si allenavano assieme. Quando mi hanno offerto di entrare in squadra, non ho proprio saputo dire di no, essere un atleta Bside era un pò un sogno per me. Nel giro di pochi minuti, ed un paio di firme, eccomi prender parte al Team. Preso dall'entusiasmo e galvanizzato dall'onore di poter esser parte di quella squadra, realizzo solo dopo cosa avrebbe significato. Avrei ricominciato a far gare, rompendo il patto che feci con me stesso, nel quale appunto mi promisi di non prender più parte alle competizioni. Dopo aver riflettuto un pò sulla cosa, decido di ributtarmi in questo pericoloso gioco, ma ad una sola, fondamentale condizione: divertirsi. Deciso a vedere le gare solo come eventi a cui partecipare, delle feste dell'arrampicata, mi avvicino sempre più all'idea, e muovo i miei "primi" passi, con la mia maglia Bside Team.

Ho partecipato così al circuito boulder piemontese, il TCC. Il livello e l'eco del TCC non mi era nuovo, infatti vi hanno partecipato grandi nomi dell'arrampicata italiana, e molti talenti sono venuti fuori proprio da questo circuito. Nonostante la mia persona un pò anti-atleta ed anti-gara, devo dire che comunque queste gare mi hanno regalato delle soddisfazioni. un terzo posto al mio debutto a Saluzzo, un secondo posto a Cuneo...un dito stirato a Torino (non rientra tra le soddisfazioni questo)! Ma il vero esame, la vera gara...era l'ultima del circuito.

La tappa del Bside.

Bside, che oltre ad essere un pezzo di storia dell'arrampicata indoor italiana, ed il motivo per cui mi sono trasferito a Torino, era diventata in questi due mesi la mia seconda casa, ed i suoi "abitanti" la mia seconda famiglia. A questa palestra dovevo e devo molto, soprattutto a chi ci lavora con passione e dedizione da anni: Marzio Nardi, Stecca, e Luca Giammarco. I tre moschettieri. La tappa era l'ultima, e di sicuro sarebbe stata la più ambita. C'era un altro motivo che mi spronava a pensare di dover fare un'ottima gara: dalla Toscana con furore, anzi, col furgone, una banda di matti ai quali voglio non bene ma di più, erano venuti solo per me, e così eccoli là, "L'Orsetto", "Muesli", Ibbiro", Daniel, Angelino...e tanti altri! Inoltre c'era lo special guest, per l'occasione, anche "il mì babbo"!

Posso solo dire che mi sentivo bene, e già la mattina, dal risveglio, la colazione, il pezzo a piedi che separa la fermata della metro da casa mia...sentivo dentro di me, che avrei fato una bella gara, e che sarebbe stata una grande giornata, da ricordare. Arrivo in palestra presto, decido di togliermi la gara subito, quando c'era meno gente. Così faccio. Mi sentivo bene, e riesco ad aggiudicarmi la tanto sognata finale al Bside. Ancora ricordo, circa 5 anni fa (credo), la vittoria di Mauro Calibani, proprio al Bside, proprio nella tappa finale del TCC. Quella volta ero tra il pubblico, adesso, ero uno dei finalisti.

Così corro in isolamento, poi la ricognizione. Studio il blocco di finale per quel minuto (o quel che è) a disposizione, assieme agli altri. "Bel blocco" è tutto quel che ricordo di aver pensato, poi di nuovo, isolamento, fino a quel fatidico "tocca a te".

L'emozione è tanta una volta portato il culo sotto il blocco. In mezzo al boato del pubblico posso comunque chiaramente distinguere le voci dei toscani. La cosa mi diverte e mi carica al tempo stesso. Continuo a sentire gridare il mio nome, ancora ed ancora, fino ad un momento preciso: quello in cui decido, che sarei partito.

Mani sullo start.

Alzo i piedi dal materasso. Si parte.


Mi sono reso conto di quel che avevo fatto soltanto quando stringevo il top nella mano destra, mentre la sinistra, alzata verso l'alto, salutava la folla. Anzi, forse il momento preciso in cui ho realizzato, è quando la testa è andata giù, gli occhi chiusi: solo il sapore di quel momento. Avevo salito la finale, flash. So che magari è un pensiero un pò esagerato ed auto celebrativo. Ma questa volta, in piedi sul pubblico urlante, col top saldo tra le mani, quello della finale delle finali, la finale dell'ultima tappa del TCC, quella firmata Bside, c'ero io! Inutile descrivere l'emozione. Forse, quella era davvero la perfezione.

Ancora adesso, ad una settimana precisa di distanza, mi sudano le mani all'idea di quel che è stato, e penso che così sarà per molto tempo.

Sarò sincero. Tutt'ora credo che le gare non facciano per me, e viceversa. Sono sempre più convinto che gare e roccia, siano due sport completamente diversi, ed io non mi sono mai sentito parte del mondo agonistico. Il mio cuore ha infatti sempre battuto per le sfide con sè stessi, con la parete, con quella linea, quel movimento, quel colore della roccia... Inoltre credo che per quanto sia riuscito a vivere questo TCC senza stress, (nei limiti ovviamente, son pur sempre gare), prima o poi la competizione porterà sentimenti che non voglio facciano parte di me, mai, come l'invidia e gelosia. C'è sempre qualcuno più forte di te, e per quanto si possa vivere le cosa in modo sano, è normale che questi sentimenti possano prendere il sopravvento. E' tutto quel che vorrei evitare, affinché l'arrampicata resti una cosa speciale, il mio gioco, che faccio solo per me. Non so se riuscirò ad esorcizzare questi sentimenti per sempre, e se riuscirò a continuare a vivere questo aspetto dell'arrampicata (quello delle gare), solo con la voglia di scalare tutti assieme, confrontarsi, e magari dopo far festa, aldilà di podi, risultati, classifiche...solo divertimento.

Una cosa è certa:

Il 10 marzo 2012, è stata e rimarrà una delle esperienze più belle che abbia mai vissuto nella mia carriera, ed una delle soddisfazioni più grandi che mi sia regalato nella vita, e per questo ringrazio di cuore chiunque abbia creduto in me, dandomi la possibilità di ricambiare con questo risultato.


Grazie ancora a tutti, toscani e non, e alla prossima!

20.2.12

The Jackall

Le foto non corrispondono al racconto. Scattate da Andrea Ribolini (mio coinqui) al Sasso Erratico vicino casa.



Sono attimi. Impercettibili ma infinitamente preziosi. Sono microscopici squarci di tempo in cui tutto, e dico tutto di noi, è concentrato in un'unica difficile azione. Certe volte il successo o il fallimento nascono e dipendono proprio da questi momenti, e l'arrampicata certo non si risparmia a ricordarcelo.

Ci sono volte in cui, si è in cerca dell'equilibrio perfetto, cercando di combattere rotazioni, forza di gravità e leggi della fisica, lottando in delicatezza...ogni movimento viene compiuto sul filo del rasoio, tra quello che è rimanere attaccati, e cadere. In quei momenti, tutto può fare la differenza, tanta è la concentrazione, ed ogni microscopica attività anche a noi estranea, come una folata di vento, un ramoscello che si spezza, o una cavolo di mosca che ronza troppo forte a chilometri di distanza, può esser fatale!

Ecco come tutto, ma proprio tutto del nostro corpo, dita-mani-avambraccia-bicipiti-spalle-pettorali-addominali-baricentro-gambe-piedi ma anche collo-testa (anche i capelli!!) e soprattutto MENTE, si impegnano a rimanere il più stabili possibili, concentrando il massimo della loro forza nell'unico scopo unanime a tutti gli interessati: Rimanere Attaccati.

Ed il tempo non passa più. Quello che se filmato nemmeno sarebbe un fotogramma, per uno scalatore può durare un'infinità, dalla quale può uscire anche stremato!

....è stato uno di questi momenti che ha fatto fallire il mio tentativo flash su "The Jackall", al Cubo.




Era proprio una bella giornata, ed io ero al settimo cielo perchè finalmente avrei toccato la roccia da quando sono a Torino. Non vedevo veramente l'ora di assaporare un tipo di scalata completamente diverso da quello a cui ero abituato, essendo cresciuto nelle bellissime falesie di calcare grigio e blu del Camaiorese, in Toscana.

Skanner mi guida tra i blocchi e mi mostra linee, con relativi miti e leggende, e devo dire che ho sempre più voglia di scalare. Tra foglie di castagno e faggi spuntano silenziosi blocchi grigi scuri, che si svelano pian piano mostrando i segni di chi, prima di noi, ha provato a salirli. Le chiazze di magnesite sembrano aver imprigionato addirittura le urla, di liberazione, fatica, gioia e rabbia, dei boulderisti che nel corso degli anni hanno reso questo posto un pò una leggenda.Subito mi diverto a salire qualche blocco falsh. Mi accorgo che in passato non ho mai curato più di tanto la scalata on-sight. Mi stressava, avevo ansia da prestazione perchè un solo tentativo è quello buono. Riscoprendo invece l'ebrezza ed il piacere di improvvisare, interpretare e lottare, mi rendo conto di quanto sia bello ed affascinante questo tipo di scalata.


Essa va interpretata secondo me come una sfida tra sè stessi e la roccia, e a darci la spinta a staccare i piedi da terra dev'essere la voglia di dare il meglio di sè stessi e vedere fin dove la nostra esperienza ci porterà, e non l'ansia od il terrore di fallire.

La giornata scorre solare e divertente, e la saccoccia delle soddisfazioni si riempiva piano piano. Poi arriva il tentativo su "The Jackall", 7b+. Il blocco è semplice quanto strapiombante. Dopo la partenza, un passo duro su biditi, e poi il bordo. Quattro movimenti. Quando sono partito non pensavo di andare molto alto, comunque sia mi ero studiato la sequenza prima, ed avevo in mente una strategia con i piedi che mi avrebbe permesso di superare quel movimento sui biditi facilmente, facendomi evitare un passo esplosivo e diretto molto duro, e che mi avrebbe riservato più energie per il lancio finale al bordo, che richiedeva la massima precisione.

Subito dopo la partenza mi rendo ovviamente conto che la strategia studiata era totalmente inutile ed infattibile. Buffo come sia diverso un blocco visto con i piedi a terra e non. capisco che non c'è proprio via di salvezza, qui c'è da tirare, e non poco! Senza perdere tempo alzo i piedi ed imposto il movimento per andare al secondo bidito, diretto. Il corpo si irrigidisce, le dita entrano e si fermano. Ci sono. Per un attimo mi rendo conto di aver già superato le mie aspettative, ma non mi distraggo ed alzo i piedi per il lancio, l'ultimo movimento. Se lo faccio, mi porto a casa "The Jackall" flash. Ci sono.
Lancio.



La mano destra afferra il bordo, preciso.
I piedi partono.
Il corpo si stacca dalla roccia, e scappa in fuori.
I muscoli si irrigidiscono, devono tenere la sbandierata.

Sono attimi. Impercettibili ma infinitamente preziosi. Sono microscopici squarci di tempo in cui tutto, e dico tutto di noi, è concentrato in un'unica difficile azione.

RIMANERE ATTACCATO.

I piedi sono nel vuoto, il corpo continua a dondolare, poi si ferma, sospeso a mezz'aria.
La mano destra è sempre ferma, col bordo saldo nel palmo e nelle dita.
Ci sono, sono fermo. Sono fuori. Sono fermo. Sono salvo. Ce l'ho fatta!

....poi arriva quel granello di sabbia, quel ramoscello spezzato, quella mosca a chilometri di distanza, quel poro della pelle, quel capello, quel sospiro di vento, o qualsiasi cosa sia veramente stata.

La mano destra scappa, ed afferra l'aria. Il corpo cade, e la forza di gravità mi rispedisce dritto in piedi sul pad. Come una moneta lanciata come trottola su un tavolo che perdendo velocità è insicura sulla facciata sulla qualche cadere, il mio corpo era rimasto lì, fermo con la presa finale in mano, in bilico tra l'esserci e il non, e proprio quando la moneta stava tendendo verso la facciata vincente...improvvisamente il mio tentativo era fallito.

Rimango incredulo. Avevo avuto la netta sensazione di essere riuscito a tenere quel bordo, d'aver fermato la rotazione...ancora un instante ed avrei accoppiato, concludendo così il boulder...ed invece....

"The Jackall" cadrà poco dopo, e la mia salita sarà un misto di soddisfazione per aver fatto un blocco come quello, e l'amaro in bocca per non esser riuscito per un nulla così impercettibile a portarmelo a casa flash. Sarebbe stato magico, ma alla fine mi rendo conto esserlo stato lo stesso, proprio per questo motivo., proprio per questi attimi.

Queste realtà parallele. Questi secondi che diventano secoli. Queste esperienze che solo chi ha vissuto può affermarne l'esistenza. Invisibili ad occhi esterni, ed indimenticabili per la persona che riesce a domarli, anche se per poco, ed anche se alla fine, fallisce.





4.2.12

Levitaciòn

Una delle cose che sicuramente più affascina dell'arrampicata, è la creatività. Molto spesso la vera soddisfazione si trova non tanto nella difficoltà, tanto nel piacere e l'onore se vogliamo, di aver trovato la soluzione, la giusta combinazione e sequenza di appigli, che ci permetterà di salire, o quantomeno, di andare più in alto.

Questo è quel che ho pensato oggi sul calcare di Uliveto, precisamente sotto il magnifico sasso del Diamante.


"Birra e saliva", la linea scoperta da Andrea Gelfi e Mauro Calibani. Una traccia grigia, compatta, dritta e strapiombante, fatta di una partenza niente male ed una serie di buoni buchi, che invitano le mani a muoversi, incrocio dopo incrocio, lungo di essi, accennando una sorta di doulfer, che sicuramente mi ricorda la scalata in fessura. Sebbene i buchi siano buoni, mi diverto un sacco in questa sezione, a scoprirne la delicatezza, la finezza e l'eleganza: pochi piedi a disposizione, solo appoggi piuttosto svasi su cui spingere, in punta di piedi, delicatamente, invitando il corpo ad una storta di dondolio, facendolo stabilizzare, avendo così l'equilibrio necessario per continuare a muoversi. Sembra quasi di essere "cullati" dal sasso.

La sequenza di buchi porta ben presto però, ad una delle caratteristiche del calcare....prese, prese, prese, e poi niente, solo un demoralizzante liscione grigio, che lascia sicuramente poco spazio alla fantasia.

Il gioco finiva lì, ed ahimè, non vi era altro che scendere sul pad, rassegnati, con un "vabeh".




Poi mi balena in testa l'idea di poter piazzare un bel lancio, alla fine della sequenza delicata ma su buchi, per prendere quel perfetto buco in cima al blocco, dopo la parte completamente liscia.


Il buco è semplicemente fatto apposta, dal basso sembra buono, e sembra esser stato modellato su di una mano sinistra...certo è lontano, quello senza dubbio. Ma se fosse possibile...Decido di tentare. Il sasso è anche abbastanza alto, e certo, l'idea di lanciare un pò intimoriva...sistemo i pad cercando di proiettare un'eventuale caduta dal movimento che avevo in testa, e poi basta. A tutta birra, senza pensare.

Supero la sequenza di buchi, al termine della quale, con un'accenno di lolot, era possibile alzare ancora un pò la mano sinistra andando a stringere un piccolo bidito. La mano destra rimaneva su una tacca buona. La posizione poteva essere favorevole ad un lancio. Gambe piegate, compresse a molla....non resta che tentare!

Comincio ad ondeggiare anche solo per tastare il terreno, e vedere quanto mi avvicinavo al buco, anche solo mentalmente.

"Al terzo slancio vado"

UNO: "Azzo, è più vicino di quanto pensassi! Cioè, è sempre lontano ma....è possibile, so che si può fare!"

DUE: "Eh si. Si può fare...Difficile, pauroso si, ma si può fare. Mi tocca farlo ora!!"

TRE: "Eccoci. Ora vado. Cattivo. Non pensare. Lancia. Spara. Vola."

Proprio mentre sto caricando il lancio, pronto e determinato a fare il mio tentativo volante, i miei piedi scappano dalla roccia, forse ci ho tolto troppo peso, lasciandomi spingere nell'aria, facendomi fallire clamorosamente, e senza farmi muovere di un solo centimetro verso l'alto! Mi ritrovo semplicemente, metaforicamente e non, col culo per terra, precisamente sul pad. Niente rabbia, niente frustrazione, solo il sorriso di chi accetta una sfida! Il lancio si può fare, ed anche se non son riuscito a staccarmici, son sicuro che sia la scelta giusta, non rimane che tentare!

Ecco la creatività nell'arrampicata, quel piacere di interpretare la roccia, di assecondarla col proprio corpo, sperando di essere all'altezza di un'idea, un sogno, un obiettivo.


Subito penso a John Gill, che oltre ad esser stato il padre dell'arrampicata sportiva americana, il primo a considerare il boulder non solo come un giochino propedeutico alla scalata con la corda, è stato anche colui che ha inventato il lancio in arrampicata. Immaginatevi questo pazzo che negli anni '60 piazzava dei lanci da paura su dei sassi alti 8-9 metri, staccando completamente il suo corpo dalla roccia per volare alla presa successiva...


Spesso le idee contano più dei fatti, o del riuscire a realizzarle. Spesso danno la spinta iniziale, gettano le basi per uno studio approfondito che porterà al progresso...lui era questa idea, ed a sua volta, ne era all'altezza, riuscendo così a salire linee impensabili, e che ancora oggi restano dei signor boulder, nonostante scarpette, crash pad e una cosa che si chiama 2012...



Dopo esser riuscito a salire il sasso e a liberare la linea, decido di dare un secondo nome, un sottotitolo...

"Levitaciòn", in onore al signore del boulder, che come spiega in una delle sue teorie, quando scalava, quando si preparava per un lancio, si concentrava a tal punto da raggiungere uno stato mentale di quasi meditazione, nel quale convinceva il suo corpo di essere leggero. Spiega che qualche volta, è persino riuscito a provare un leggero senso di levitazione...