3.10.13

Schiavo della Roccia

Respiro. 

So solo che sto respirando, cercando di "starci dentro". 

Stringo i pugni, cerco di gestire l'ansia. Sono incazzato. Ma lucido. Scrollo le braccia, ho bisogno di recuperare, anche poco. Devo solo... continuare a salire. Starci dentro. 

Devo starci dentro.

Con la mente, con le mani, con il cuore.

Solo starci dentro.

Continuo a respirare.

Poi apro gli occhi. 

IL PANICO.
Mi rendo conto. Per un attimo sento l'ansia salire e cercare di fregarmi. "Cosa cazzo ci faccio qui, come ci sono finito??" e poi ancora "Cazzo sono in continuità?? Com'è possibile??" La situazione rischia di complicarsi, le mani di aprirsi, lasciandosi scappare quello spiraglio di possibilità. "La vita non è un film. Non succederà. Non si farà salire. Non ora. Non così." Capisco, capisco che il gioco si fa duro, ma che CAZZO NON E' ANCORA DETTO. 

Relax, svuotare mente. E' ancora possibile. E' ancora il presente. Vai. Vai e prenditela cazzo! 
Sgombrare. Sgombrare la mente.



Buffo tornare a sentirsi in un certo modo dopo tanto tempo... come riaprire gli occhi dopo un lungo sonno, anche se si è dato tutto tranne l'impressione di essere in un limbo, in un periodo "un pò così".

Eppure è vero, non è mai tutto rosa e fiori, non è mai tutto perfetto, e se si vuole che le cose vadano come le si sognano bisogna fare una cosa ed una soltanto: rimboccarsi le maniche e pedalare, con la consapevolezza che la vita non è un film e che il lieto fine non è detto che ci sia.

Di tanto in tanto però le cose si rincorrono per un pò e poi si allineano, fino a coincidere.

Senza troppe filosofie e come si direbbe da me "in soldoni", quel che sto cercando di spiccicare è che dentro di me era davvero tanto che le cose non coincidevano come adesso. Un bel periodo, semplicemente.

E' un pò che non scarabocchio sul Blog, l'ultima volta che ci siamo visti era a Kalymnoss... ne sono successe di cose, ce ne sono stati di alti e di bassi, ne son passate di acque sotto ai ponti..

Da dove iniziare?

Ma dal titolo ovviamente: Schiavo della Roccia.

Questo quel che sono, e che sono come me un pungo di ragazzi belli motivati che hanno preso a schiaffi il brutale e spietato granito del vallone di Unghiasse, sotto le redini del capobranco Marzio Nardi.


Ho provato tante volte a mettermi sulla carta a cercare di trovare le parole giuste per descrivere questa esperienza, ma poi ho letto le sue di parole, quelle della mente, della scintilla di tutto ed ho capito che niente e nessuno avrebbe reso meglio l'idea. Non amo le cronache, bensì le sensazioni, le emozioni le sconfitte.. le gioie.. e per quanto riguarda il Rock Slave Experience si potrebbe scrivere un'enciclopedia. Ancora una volta l'unico mezzo che mi ha aiutato a sviscerare questa settimana passata come formiche in mezzo ad un abisso di sassi, è stata la carta bianca ed un set di acquerelli di quando ero pischello delle elementari...


"C'è un tempo che non si misura, o forse è il tempo tutto che non si può misurare. Se i filosofi ancora riflettono una sua definizione, di certo non posso riuscire a dagliela io. Diciamo che il tempo e' una dimensione.

Solo l’ultimo giorno ci ho riflettuto. 
Fino a quel momento era come se il tempo, quello che misuriamo ogni giorno con l'orologio, fosse sparito. Meglio, era come se scorresse in un altro modo: nell'erba, che mano a mano s’asciugava, nel sole, che diventava più caldo, oppure nello scorcio di valle che cambiava colore.



Il nostro tempo nasceva nell'entusiasmo della mattina presto e finiva la sera nella stanchezza, nella fame, nel dolore alle gambe e nel mistero. Mistero sul giorno dopo, sul futuro. Su ciò che avremmo fatto domani

Nel vallone di Unghiasse non ci sono guide, settori, gradi o righe di magnesite. C'e' una distesa d’erba di 2 chilometri che a poco a poco lascia spazio alla roccia. Dal masso sul quale sedersi la sera a quello che, dalla cima, ci mostrava in prospettiva la valle, tutto era pietra nella quale perdersi. Pietra brutta, pietra coperta di lichene, pietra bella, pietra bassa, pietra piatta, pietra alta, pietra, pietra, pietra…




In mezzo a tanta pietra ci siamo sentiti inadeguati, disorientati e deboli, incapaci di salire su un sasso, incapaci persino di cadere sui rododendri che ci inghiottivano a ogni passo. Forse non eravamo all'altezza di fare quello per cui eravamo li: trovare una pietra su cui salire. Cosa c’era di sbagliato? Cosa cercavano e non riuscivano a trovare le braccia e le dita?

Cercavano quello che fino a ieri avevano toccato. Cercavano gradi, difficoltà, come lo sguardo cerca l'orologio al polso per sapere che ora è. E mentre misuravamo la fatica degli avambracci per la gloria di uno sforzo al limite, nell'ombra, fra l'erba che si asciugava piano piano, centinaia di “linee” attendevano un po' di magnesite che le disegnasse. Ci è voluto almeno un giorno intero, un giorno di tempo "vero", per capire che l’unica cosa da fare era liberare l'istinto e, finalmente, scalare.
Il resto è solo cronaca"

Marzio Nardi



Il resto è davvero solo cronaca.

Una volta tornati a casa è decisamente stato strano. Le prospettive, le proporzioni, il colore dell'aria..tutto rimescolato e ribaltato nel giro di poco...

Ma 'sto Vallone di Unghiasse esiste davvero o me lo son sognato??

Il tempo di chiedermelo e subito i polpastrelli ancora doloranti mi rispondono, spazzando via ogni dubbio.. "esiste, ed è abrasivo!"

Carico di una nuova motivazione, pura e sana, spingo i miei muscoli ancora acciaccati fuori di casa, le scarpette vogliose di mordere nuova roccia...e facciamogliela mordere.

Meteo? Pessima. Chissene.

Dall'ultimo tentativo su "Il Gemone" erano successe un sacco di cose.
Oltre naturalmente all'Experience con RockSlave c'era stata la Spagna e la mia prima volta a Rodellar... Avevo lasciato il calcare del camaiorese proprio un mese prima infatti, quando ho strappato la prima libera di "Juma" al maltempo. Quella salita mi aveva dato molta soddisfazione: mai fatta una via così dura in così pochi tentativi.

Si ok, la forma c'era, la testa anche e blablabla,  ma poi i viaggi, le nuove esperienze, ed infine il rientro. Ora era diverso. Dovevo trasformare il mese passato in motivazione, in pura energia. In voglia di scalare. Questo dico, questo c'era ed era sicuro.

Quel che non era sicuro era il tempo.

Arrivato sotto la pala strapiombante de "Il Gemone" la storia non era così rosea. Nuvole nere, umidità alle stelle e soprattutto poca luce.


Tentativo d'ispezione: riguardare movimenti-pulire prese-sgranchirsi-scaldarsi-muoversi-scalare...

Scalo.

Per farla breve, le sensazioni non potevano essere delle migliori... ma delle condizioni non ne parlava nemmeno un pò.

La seconda metà della via è completamente fradicia. Zuppa. Nera d'acqua.

Scendo giù con le scarpette marce di fango, così come le dita ed il morale, ma non dispero: proverò il sotto per ottimizzarlo, pensando a quando sarà nuovamente asciutta, nuovamente scalabile, tutta, fino alla catena. Ecco cosa farò.

Dopo le chiacchere da falesia di rituale con quel pugno di coraggiosi che si sono presentati (alla faccia della meteo), l'atmosfera si fa sempre più cupa e nera. Occorre scalare, almeno un secondo tentativo prima di scappare o essere risucchiati da quel madrefucker di temporale che da sopra le nostre teste ci minaccia opprimente. Corro sotto la via, è buio, devo muovermi, almeno per riprendere i rinvii.

Mi lego, metto le scarpette, due o tre parole in fretta, mentre mi avvicino alla roccia e parto, con la testa altrove, vuota.

Le prese sono bagnate.....forse.

Le condizioni sono pessime....forse.

Sento niente.

Solo un barlume, una tacca che voleva sfuggire, e per un attimo mi ci ha fatto credere.. poi però la mano arcua. Non la mollo più.


Un urlo di sfogo quando mi ritrovo il bidito in mano. La presa del passo chiave, quella che voleva sfuggire, è ormai sotto i miei piedi.


Prendo il primo buco buono. Completamente bagnato, sento gli schizzetti tra le dita. Allargare piede. Bagnato anche quello. Fidarsi, rischiare. Afferro la presa asciutta con l'altra mano. Rimane lì. L'altra, fangosa, scivola, ma è troppo tardi. Il riposo mi appartiene. Moschettonare. Sistemare i piedi... troppo bagnato, non rischiare di sporcare suole.

"Rimani lì. Fermo. Stai fermo e respira. Stacci dentro. Respira e stacci dentro."

Respiro.

So solo che sto respirando, cercando di non scivolare via dalla roccia bagnata.

Devo starci dentro.

Poi il panico mi assale. Ricordo di essere in continuità, d'aver superato il passo chiave, di avere la catena a poche prese dalla mia testa. Per un attimo mi vedo cadere lì, fregato dall'ansia. Successivamente mi vedo cadere al passo dopo, inveendo contro la roccia bagnata. Ancora mi vedo cadere moschettonando la catena. Un piede scivola, una mano fangosa... sarei caduto. Stupido. Stupido sei. Hai avuto la tua occasione, e l'hai buttata.

Il peso del corpo vibra leggermente sulle scarpette, le mani stringono il doppio.

Cazzo no.

Io non ci cado qui.

Parto e mi lascio il riposo sotto i piedi. I passi sono delicati per arrivare in catena, sento piedi e mani precari. Salgo e cattivo, stringo le ultime prese. Chiudo fuori dalla mia testa le paure, e le condizioni possono anche andarsene a quel paese. Non ho mai creduto nelle condizioni, non vedo perchè dovrei iniziare a crederci proprio a due metri dalla catena. Rimuovo dalla mia mente l'immagine di me che cado, e prendo corda. Tutto tende a snapparmi.. ma le prese sono salde nelle mani. La metto dentro.

"Clac"

Tutto sfuma in un sorriso, in un urlo.

Maledetta arrampicata, maledetta roccia.

Avete fatto di me uno schiavo!



Foto su "Il Gemone" di Marco Ricciotti