20.2.12

The Jackall

Le foto non corrispondono al racconto. Scattate da Andrea Ribolini (mio coinqui) al Sasso Erratico vicino casa.



Sono attimi. Impercettibili ma infinitamente preziosi. Sono microscopici squarci di tempo in cui tutto, e dico tutto di noi, è concentrato in un'unica difficile azione. Certe volte il successo o il fallimento nascono e dipendono proprio da questi momenti, e l'arrampicata certo non si risparmia a ricordarcelo.

Ci sono volte in cui, si è in cerca dell'equilibrio perfetto, cercando di combattere rotazioni, forza di gravità e leggi della fisica, lottando in delicatezza...ogni movimento viene compiuto sul filo del rasoio, tra quello che è rimanere attaccati, e cadere. In quei momenti, tutto può fare la differenza, tanta è la concentrazione, ed ogni microscopica attività anche a noi estranea, come una folata di vento, un ramoscello che si spezza, o una cavolo di mosca che ronza troppo forte a chilometri di distanza, può esser fatale!

Ecco come tutto, ma proprio tutto del nostro corpo, dita-mani-avambraccia-bicipiti-spalle-pettorali-addominali-baricentro-gambe-piedi ma anche collo-testa (anche i capelli!!) e soprattutto MENTE, si impegnano a rimanere il più stabili possibili, concentrando il massimo della loro forza nell'unico scopo unanime a tutti gli interessati: Rimanere Attaccati.

Ed il tempo non passa più. Quello che se filmato nemmeno sarebbe un fotogramma, per uno scalatore può durare un'infinità, dalla quale può uscire anche stremato!

....è stato uno di questi momenti che ha fatto fallire il mio tentativo flash su "The Jackall", al Cubo.




Era proprio una bella giornata, ed io ero al settimo cielo perchè finalmente avrei toccato la roccia da quando sono a Torino. Non vedevo veramente l'ora di assaporare un tipo di scalata completamente diverso da quello a cui ero abituato, essendo cresciuto nelle bellissime falesie di calcare grigio e blu del Camaiorese, in Toscana.

Skanner mi guida tra i blocchi e mi mostra linee, con relativi miti e leggende, e devo dire che ho sempre più voglia di scalare. Tra foglie di castagno e faggi spuntano silenziosi blocchi grigi scuri, che si svelano pian piano mostrando i segni di chi, prima di noi, ha provato a salirli. Le chiazze di magnesite sembrano aver imprigionato addirittura le urla, di liberazione, fatica, gioia e rabbia, dei boulderisti che nel corso degli anni hanno reso questo posto un pò una leggenda.Subito mi diverto a salire qualche blocco falsh. Mi accorgo che in passato non ho mai curato più di tanto la scalata on-sight. Mi stressava, avevo ansia da prestazione perchè un solo tentativo è quello buono. Riscoprendo invece l'ebrezza ed il piacere di improvvisare, interpretare e lottare, mi rendo conto di quanto sia bello ed affascinante questo tipo di scalata.


Essa va interpretata secondo me come una sfida tra sè stessi e la roccia, e a darci la spinta a staccare i piedi da terra dev'essere la voglia di dare il meglio di sè stessi e vedere fin dove la nostra esperienza ci porterà, e non l'ansia od il terrore di fallire.

La giornata scorre solare e divertente, e la saccoccia delle soddisfazioni si riempiva piano piano. Poi arriva il tentativo su "The Jackall", 7b+. Il blocco è semplice quanto strapiombante. Dopo la partenza, un passo duro su biditi, e poi il bordo. Quattro movimenti. Quando sono partito non pensavo di andare molto alto, comunque sia mi ero studiato la sequenza prima, ed avevo in mente una strategia con i piedi che mi avrebbe permesso di superare quel movimento sui biditi facilmente, facendomi evitare un passo esplosivo e diretto molto duro, e che mi avrebbe riservato più energie per il lancio finale al bordo, che richiedeva la massima precisione.

Subito dopo la partenza mi rendo ovviamente conto che la strategia studiata era totalmente inutile ed infattibile. Buffo come sia diverso un blocco visto con i piedi a terra e non. capisco che non c'è proprio via di salvezza, qui c'è da tirare, e non poco! Senza perdere tempo alzo i piedi ed imposto il movimento per andare al secondo bidito, diretto. Il corpo si irrigidisce, le dita entrano e si fermano. Ci sono. Per un attimo mi rendo conto di aver già superato le mie aspettative, ma non mi distraggo ed alzo i piedi per il lancio, l'ultimo movimento. Se lo faccio, mi porto a casa "The Jackall" flash. Ci sono.
Lancio.



La mano destra afferra il bordo, preciso.
I piedi partono.
Il corpo si stacca dalla roccia, e scappa in fuori.
I muscoli si irrigidiscono, devono tenere la sbandierata.

Sono attimi. Impercettibili ma infinitamente preziosi. Sono microscopici squarci di tempo in cui tutto, e dico tutto di noi, è concentrato in un'unica difficile azione.

RIMANERE ATTACCATO.

I piedi sono nel vuoto, il corpo continua a dondolare, poi si ferma, sospeso a mezz'aria.
La mano destra è sempre ferma, col bordo saldo nel palmo e nelle dita.
Ci sono, sono fermo. Sono fuori. Sono fermo. Sono salvo. Ce l'ho fatta!

....poi arriva quel granello di sabbia, quel ramoscello spezzato, quella mosca a chilometri di distanza, quel poro della pelle, quel capello, quel sospiro di vento, o qualsiasi cosa sia veramente stata.

La mano destra scappa, ed afferra l'aria. Il corpo cade, e la forza di gravità mi rispedisce dritto in piedi sul pad. Come una moneta lanciata come trottola su un tavolo che perdendo velocità è insicura sulla facciata sulla qualche cadere, il mio corpo era rimasto lì, fermo con la presa finale in mano, in bilico tra l'esserci e il non, e proprio quando la moneta stava tendendo verso la facciata vincente...improvvisamente il mio tentativo era fallito.

Rimango incredulo. Avevo avuto la netta sensazione di essere riuscito a tenere quel bordo, d'aver fermato la rotazione...ancora un instante ed avrei accoppiato, concludendo così il boulder...ed invece....

"The Jackall" cadrà poco dopo, e la mia salita sarà un misto di soddisfazione per aver fatto un blocco come quello, e l'amaro in bocca per non esser riuscito per un nulla così impercettibile a portarmelo a casa flash. Sarebbe stato magico, ma alla fine mi rendo conto esserlo stato lo stesso, proprio per questo motivo., proprio per questi attimi.

Queste realtà parallele. Questi secondi che diventano secoli. Queste esperienze che solo chi ha vissuto può affermarne l'esistenza. Invisibili ad occhi esterni, ed indimenticabili per la persona che riesce a domarli, anche se per poco, ed anche se alla fine, fallisce.





4.2.12

Levitaciòn

Una delle cose che sicuramente più affascina dell'arrampicata, è la creatività. Molto spesso la vera soddisfazione si trova non tanto nella difficoltà, tanto nel piacere e l'onore se vogliamo, di aver trovato la soluzione, la giusta combinazione e sequenza di appigli, che ci permetterà di salire, o quantomeno, di andare più in alto.

Questo è quel che ho pensato oggi sul calcare di Uliveto, precisamente sotto il magnifico sasso del Diamante.


"Birra e saliva", la linea scoperta da Andrea Gelfi e Mauro Calibani. Una traccia grigia, compatta, dritta e strapiombante, fatta di una partenza niente male ed una serie di buoni buchi, che invitano le mani a muoversi, incrocio dopo incrocio, lungo di essi, accennando una sorta di doulfer, che sicuramente mi ricorda la scalata in fessura. Sebbene i buchi siano buoni, mi diverto un sacco in questa sezione, a scoprirne la delicatezza, la finezza e l'eleganza: pochi piedi a disposizione, solo appoggi piuttosto svasi su cui spingere, in punta di piedi, delicatamente, invitando il corpo ad una storta di dondolio, facendolo stabilizzare, avendo così l'equilibrio necessario per continuare a muoversi. Sembra quasi di essere "cullati" dal sasso.

La sequenza di buchi porta ben presto però, ad una delle caratteristiche del calcare....prese, prese, prese, e poi niente, solo un demoralizzante liscione grigio, che lascia sicuramente poco spazio alla fantasia.

Il gioco finiva lì, ed ahimè, non vi era altro che scendere sul pad, rassegnati, con un "vabeh".




Poi mi balena in testa l'idea di poter piazzare un bel lancio, alla fine della sequenza delicata ma su buchi, per prendere quel perfetto buco in cima al blocco, dopo la parte completamente liscia.


Il buco è semplicemente fatto apposta, dal basso sembra buono, e sembra esser stato modellato su di una mano sinistra...certo è lontano, quello senza dubbio. Ma se fosse possibile...Decido di tentare. Il sasso è anche abbastanza alto, e certo, l'idea di lanciare un pò intimoriva...sistemo i pad cercando di proiettare un'eventuale caduta dal movimento che avevo in testa, e poi basta. A tutta birra, senza pensare.

Supero la sequenza di buchi, al termine della quale, con un'accenno di lolot, era possibile alzare ancora un pò la mano sinistra andando a stringere un piccolo bidito. La mano destra rimaneva su una tacca buona. La posizione poteva essere favorevole ad un lancio. Gambe piegate, compresse a molla....non resta che tentare!

Comincio ad ondeggiare anche solo per tastare il terreno, e vedere quanto mi avvicinavo al buco, anche solo mentalmente.

"Al terzo slancio vado"

UNO: "Azzo, è più vicino di quanto pensassi! Cioè, è sempre lontano ma....è possibile, so che si può fare!"

DUE: "Eh si. Si può fare...Difficile, pauroso si, ma si può fare. Mi tocca farlo ora!!"

TRE: "Eccoci. Ora vado. Cattivo. Non pensare. Lancia. Spara. Vola."

Proprio mentre sto caricando il lancio, pronto e determinato a fare il mio tentativo volante, i miei piedi scappano dalla roccia, forse ci ho tolto troppo peso, lasciandomi spingere nell'aria, facendomi fallire clamorosamente, e senza farmi muovere di un solo centimetro verso l'alto! Mi ritrovo semplicemente, metaforicamente e non, col culo per terra, precisamente sul pad. Niente rabbia, niente frustrazione, solo il sorriso di chi accetta una sfida! Il lancio si può fare, ed anche se non son riuscito a staccarmici, son sicuro che sia la scelta giusta, non rimane che tentare!

Ecco la creatività nell'arrampicata, quel piacere di interpretare la roccia, di assecondarla col proprio corpo, sperando di essere all'altezza di un'idea, un sogno, un obiettivo.


Subito penso a John Gill, che oltre ad esser stato il padre dell'arrampicata sportiva americana, il primo a considerare il boulder non solo come un giochino propedeutico alla scalata con la corda, è stato anche colui che ha inventato il lancio in arrampicata. Immaginatevi questo pazzo che negli anni '60 piazzava dei lanci da paura su dei sassi alti 8-9 metri, staccando completamente il suo corpo dalla roccia per volare alla presa successiva...


Spesso le idee contano più dei fatti, o del riuscire a realizzarle. Spesso danno la spinta iniziale, gettano le basi per uno studio approfondito che porterà al progresso...lui era questa idea, ed a sua volta, ne era all'altezza, riuscendo così a salire linee impensabili, e che ancora oggi restano dei signor boulder, nonostante scarpette, crash pad e una cosa che si chiama 2012...



Dopo esser riuscito a salire il sasso e a liberare la linea, decido di dare un secondo nome, un sottotitolo...

"Levitaciòn", in onore al signore del boulder, che come spiega in una delle sue teorie, quando scalava, quando si preparava per un lancio, si concentrava a tal punto da raggiungere uno stato mentale di quasi meditazione, nel quale convinceva il suo corpo di essere leggero. Spiega che qualche volta, è persino riuscito a provare un leggero senso di levitazione...