11.12.13

Robe di Karma (anteprima)

L'ossessione che diventa ostinazione e che poi, d'un tratto sfocia nell'esasperazione, all'accanimento. Come un boulder che non riesce, come quando sono tutti in un posto a fare una cosa e tu invece no, sei altrove, con la testa, con il corpo, con la pelle dei polpastrelli. 

Questo più o meno quel che succede al personaggio senza nome di questa storia.

D'altronde a chi non è capitato, almeno una volta, di nuotare contro corrente, di mettersi in gioco fino all'ultimo rinunciando alle proprie certezze e sicurezze? Nel caso del protagonista di questa storia, quello che viene accontonato da una parte in favore della roccia è niente popò di meno che un posto al caldo, il 25 dicembre, davanti ad un bel tacchino arrosto, con patate e tutto quanto.


Questione di priorità. Questione di fissazioni, di amori, di odi, di sassolini dentro alla scarpa, che poi iniziano davvero ad essere fastidiosi, insopportabili, monopolizzando i pensieri e facendo sembrare così goffo tutto il resto.. e lui, l'omino senza nome, proverà e riproverà...


Ci riuscirà? 


Poco importa... poco importa se tanto non c'è soluzione, non c'è alternativa. Nessuno lo sa meglio di uno scalatore che continua a rimbalzare su quel dannato pezzo di roccia nonostante i suoi immensi e inutili sforzi.


E se ci riuscirà, sarà per davvero o sarà tutta un'illusione, frutto di un'ossessione che è già divenuta follia?


"Robe di Karma" è il mio secondo lavoro a fumetti, e le sue 20 pagine saranno sfogliabili online sul sito di ATmagazine a fine Dicembre, ed io farò giusto in tempo ad intravederlo che partirò per la Spagna (tanto per cambiare). 

Colgo l'occasione per fare gli auguri a tutti i lettori del Blog, con tanto di buone feste ed anno nuovo, ringraziandovi di cuore per il supporto mostrato ad ogni mia follia, e per sopportarmi bene o male da tanti anni ;) 

Ringrazio inoltre i miei sponsor, SCARPA e ROCKSLAVE, continua fonte di motivazione!


Hasta luego!

27.11.13

Il suono della roccia (anteprima)

Roccia e carta. Se chiudo gli occhi è questo che vedo, tanto ne sono stato ossessionato negli ultimi mesi. Non so perchè nè da quando di preciso, ma ho ripreso a disegnare come un matto. Poi di nuovo fare lo zaino, e a scalare. Qualche gara da tracciare qua e là, ed ancora, disegni, disegni, disegni... non so perchè. 
Poi ho iniziato a mescolare le cose. Penserete che sia la creatività dell'artista, l'ispirazione suprema...io credo che in realtà il mio cervello fosse talmente lobotomizzato, che autisticamente muovendo la mano sul foglio non poteva che vomitare niente popò di meno che la roccia. Roccia e carta. 

Cosa ne viene fuori? A cosa serve questo post?

A dire il vero non lo so.

Pensavo di spiattellare qui qualche spezzone, qualche vignetta della mia prima storia FINITA, affinché possiate dare una sbirciata. La storia in questione si chiama "IL SUONO DELLA ROCCIA", parla di arrampicata ma anche no, di insonnia ma anche no, di roccia ma anche no, ed uscirà su ATMAGAZINE a fine di questo mese. Storia mia, disegni miei e ba bla ba. 

Grazie ad ATMAGAZINE e a Giampaolo Mocci per l'occasione.

Tra poco potrete trovarla integra sul sito di ATMAGAZINE, e sfogliarne digitalmente tutte le 15 pagine (ebbene si, 15!). 

Passo e chiudo.
A presto!


3.10.13

Schiavo della Roccia

Respiro. 

So solo che sto respirando, cercando di "starci dentro". 

Stringo i pugni, cerco di gestire l'ansia. Sono incazzato. Ma lucido. Scrollo le braccia, ho bisogno di recuperare, anche poco. Devo solo... continuare a salire. Starci dentro. 

Devo starci dentro.

Con la mente, con le mani, con il cuore.

Solo starci dentro.

Continuo a respirare.

Poi apro gli occhi. 

IL PANICO.
Mi rendo conto. Per un attimo sento l'ansia salire e cercare di fregarmi. "Cosa cazzo ci faccio qui, come ci sono finito??" e poi ancora "Cazzo sono in continuità?? Com'è possibile??" La situazione rischia di complicarsi, le mani di aprirsi, lasciandosi scappare quello spiraglio di possibilità. "La vita non è un film. Non succederà. Non si farà salire. Non ora. Non così." Capisco, capisco che il gioco si fa duro, ma che CAZZO NON E' ANCORA DETTO. 

Relax, svuotare mente. E' ancora possibile. E' ancora il presente. Vai. Vai e prenditela cazzo! 
Sgombrare. Sgombrare la mente.



Buffo tornare a sentirsi in un certo modo dopo tanto tempo... come riaprire gli occhi dopo un lungo sonno, anche se si è dato tutto tranne l'impressione di essere in un limbo, in un periodo "un pò così".

Eppure è vero, non è mai tutto rosa e fiori, non è mai tutto perfetto, e se si vuole che le cose vadano come le si sognano bisogna fare una cosa ed una soltanto: rimboccarsi le maniche e pedalare, con la consapevolezza che la vita non è un film e che il lieto fine non è detto che ci sia.

Di tanto in tanto però le cose si rincorrono per un pò e poi si allineano, fino a coincidere.

Senza troppe filosofie e come si direbbe da me "in soldoni", quel che sto cercando di spiccicare è che dentro di me era davvero tanto che le cose non coincidevano come adesso. Un bel periodo, semplicemente.

E' un pò che non scarabocchio sul Blog, l'ultima volta che ci siamo visti era a Kalymnoss... ne sono successe di cose, ce ne sono stati di alti e di bassi, ne son passate di acque sotto ai ponti..

Da dove iniziare?

Ma dal titolo ovviamente: Schiavo della Roccia.

Questo quel che sono, e che sono come me un pungo di ragazzi belli motivati che hanno preso a schiaffi il brutale e spietato granito del vallone di Unghiasse, sotto le redini del capobranco Marzio Nardi.


Ho provato tante volte a mettermi sulla carta a cercare di trovare le parole giuste per descrivere questa esperienza, ma poi ho letto le sue di parole, quelle della mente, della scintilla di tutto ed ho capito che niente e nessuno avrebbe reso meglio l'idea. Non amo le cronache, bensì le sensazioni, le emozioni le sconfitte.. le gioie.. e per quanto riguarda il Rock Slave Experience si potrebbe scrivere un'enciclopedia. Ancora una volta l'unico mezzo che mi ha aiutato a sviscerare questa settimana passata come formiche in mezzo ad un abisso di sassi, è stata la carta bianca ed un set di acquerelli di quando ero pischello delle elementari...


"C'è un tempo che non si misura, o forse è il tempo tutto che non si può misurare. Se i filosofi ancora riflettono una sua definizione, di certo non posso riuscire a dagliela io. Diciamo che il tempo e' una dimensione.

Solo l’ultimo giorno ci ho riflettuto. 
Fino a quel momento era come se il tempo, quello che misuriamo ogni giorno con l'orologio, fosse sparito. Meglio, era come se scorresse in un altro modo: nell'erba, che mano a mano s’asciugava, nel sole, che diventava più caldo, oppure nello scorcio di valle che cambiava colore.



Il nostro tempo nasceva nell'entusiasmo della mattina presto e finiva la sera nella stanchezza, nella fame, nel dolore alle gambe e nel mistero. Mistero sul giorno dopo, sul futuro. Su ciò che avremmo fatto domani

Nel vallone di Unghiasse non ci sono guide, settori, gradi o righe di magnesite. C'e' una distesa d’erba di 2 chilometri che a poco a poco lascia spazio alla roccia. Dal masso sul quale sedersi la sera a quello che, dalla cima, ci mostrava in prospettiva la valle, tutto era pietra nella quale perdersi. Pietra brutta, pietra coperta di lichene, pietra bella, pietra bassa, pietra piatta, pietra alta, pietra, pietra, pietra…




In mezzo a tanta pietra ci siamo sentiti inadeguati, disorientati e deboli, incapaci di salire su un sasso, incapaci persino di cadere sui rododendri che ci inghiottivano a ogni passo. Forse non eravamo all'altezza di fare quello per cui eravamo li: trovare una pietra su cui salire. Cosa c’era di sbagliato? Cosa cercavano e non riuscivano a trovare le braccia e le dita?

Cercavano quello che fino a ieri avevano toccato. Cercavano gradi, difficoltà, come lo sguardo cerca l'orologio al polso per sapere che ora è. E mentre misuravamo la fatica degli avambracci per la gloria di uno sforzo al limite, nell'ombra, fra l'erba che si asciugava piano piano, centinaia di “linee” attendevano un po' di magnesite che le disegnasse. Ci è voluto almeno un giorno intero, un giorno di tempo "vero", per capire che l’unica cosa da fare era liberare l'istinto e, finalmente, scalare.
Il resto è solo cronaca"

Marzio Nardi



Il resto è davvero solo cronaca.

Una volta tornati a casa è decisamente stato strano. Le prospettive, le proporzioni, il colore dell'aria..tutto rimescolato e ribaltato nel giro di poco...

Ma 'sto Vallone di Unghiasse esiste davvero o me lo son sognato??

Il tempo di chiedermelo e subito i polpastrelli ancora doloranti mi rispondono, spazzando via ogni dubbio.. "esiste, ed è abrasivo!"

Carico di una nuova motivazione, pura e sana, spingo i miei muscoli ancora acciaccati fuori di casa, le scarpette vogliose di mordere nuova roccia...e facciamogliela mordere.

Meteo? Pessima. Chissene.

Dall'ultimo tentativo su "Il Gemone" erano successe un sacco di cose.
Oltre naturalmente all'Experience con RockSlave c'era stata la Spagna e la mia prima volta a Rodellar... Avevo lasciato il calcare del camaiorese proprio un mese prima infatti, quando ho strappato la prima libera di "Juma" al maltempo. Quella salita mi aveva dato molta soddisfazione: mai fatta una via così dura in così pochi tentativi.

Si ok, la forma c'era, la testa anche e blablabla,  ma poi i viaggi, le nuove esperienze, ed infine il rientro. Ora era diverso. Dovevo trasformare il mese passato in motivazione, in pura energia. In voglia di scalare. Questo dico, questo c'era ed era sicuro.

Quel che non era sicuro era il tempo.

Arrivato sotto la pala strapiombante de "Il Gemone" la storia non era così rosea. Nuvole nere, umidità alle stelle e soprattutto poca luce.


Tentativo d'ispezione: riguardare movimenti-pulire prese-sgranchirsi-scaldarsi-muoversi-scalare...

Scalo.

Per farla breve, le sensazioni non potevano essere delle migliori... ma delle condizioni non ne parlava nemmeno un pò.

La seconda metà della via è completamente fradicia. Zuppa. Nera d'acqua.

Scendo giù con le scarpette marce di fango, così come le dita ed il morale, ma non dispero: proverò il sotto per ottimizzarlo, pensando a quando sarà nuovamente asciutta, nuovamente scalabile, tutta, fino alla catena. Ecco cosa farò.

Dopo le chiacchere da falesia di rituale con quel pugno di coraggiosi che si sono presentati (alla faccia della meteo), l'atmosfera si fa sempre più cupa e nera. Occorre scalare, almeno un secondo tentativo prima di scappare o essere risucchiati da quel madrefucker di temporale che da sopra le nostre teste ci minaccia opprimente. Corro sotto la via, è buio, devo muovermi, almeno per riprendere i rinvii.

Mi lego, metto le scarpette, due o tre parole in fretta, mentre mi avvicino alla roccia e parto, con la testa altrove, vuota.

Le prese sono bagnate.....forse.

Le condizioni sono pessime....forse.

Sento niente.

Solo un barlume, una tacca che voleva sfuggire, e per un attimo mi ci ha fatto credere.. poi però la mano arcua. Non la mollo più.


Un urlo di sfogo quando mi ritrovo il bidito in mano. La presa del passo chiave, quella che voleva sfuggire, è ormai sotto i miei piedi.


Prendo il primo buco buono. Completamente bagnato, sento gli schizzetti tra le dita. Allargare piede. Bagnato anche quello. Fidarsi, rischiare. Afferro la presa asciutta con l'altra mano. Rimane lì. L'altra, fangosa, scivola, ma è troppo tardi. Il riposo mi appartiene. Moschettonare. Sistemare i piedi... troppo bagnato, non rischiare di sporcare suole.

"Rimani lì. Fermo. Stai fermo e respira. Stacci dentro. Respira e stacci dentro."

Respiro.

So solo che sto respirando, cercando di non scivolare via dalla roccia bagnata.

Devo starci dentro.

Poi il panico mi assale. Ricordo di essere in continuità, d'aver superato il passo chiave, di avere la catena a poche prese dalla mia testa. Per un attimo mi vedo cadere lì, fregato dall'ansia. Successivamente mi vedo cadere al passo dopo, inveendo contro la roccia bagnata. Ancora mi vedo cadere moschettonando la catena. Un piede scivola, una mano fangosa... sarei caduto. Stupido. Stupido sei. Hai avuto la tua occasione, e l'hai buttata.

Il peso del corpo vibra leggermente sulle scarpette, le mani stringono il doppio.

Cazzo no.

Io non ci cado qui.

Parto e mi lascio il riposo sotto i piedi. I passi sono delicati per arrivare in catena, sento piedi e mani precari. Salgo e cattivo, stringo le ultime prese. Chiudo fuori dalla mia testa le paure, e le condizioni possono anche andarsene a quel paese. Non ho mai creduto nelle condizioni, non vedo perchè dovrei iniziare a crederci proprio a due metri dalla catena. Rimuovo dalla mia mente l'immagine di me che cado, e prendo corda. Tutto tende a snapparmi.. ma le prese sono salde nelle mani. La metto dentro.

"Clac"

Tutto sfuma in un sorriso, in un urlo.

Maledetta arrampicata, maledetta roccia.

Avete fatto di me uno schiavo!



Foto su "Il Gemone" di Marco Ricciotti













25.5.13

La fine che non ho fatto

Il problema di avere un Blog da aggiornare su ispirazione, comporta diversi problemi, primo fra tutti il fatto che va aggiornato su ispirazione. A volte si è a corto di storie, oppure se ne hanno ma.. che cavolo ne so. Insomma questa volta era un pò che me ne stavo zitto zitto, ma per rendermene conto avrei dovuto aspettare la pioggia.

Così, quando qualche giorno fa mi sono ritrovato rintanato sotto ad uno strapiombo con un pugno di disperati arrampicatori, che come me erano sgattaiolati via di casa nell'intento di sfuggire al maledettissimo divano alla volta di qualche pezzo di roccia asciutto (tanta speranza poco successo), uno di questi compagni di sventura mi si avvicina curioso, e delicatamente, mi fa:

"Luca.. ma te.. CHE FAI?!? Sei sempre così misteriosamente sfuggente, non ti si vede mai..scali??"

Al che, la mia espressione dev'essere risultata più o meno.. 
A quel punto, la mia mente corre veloce a qualche settimana prima:

Pioveva, tanto per cambiare: Lo intuivo, non c'era bisogno d'averne la certezza trascinandomi fuori dalle calde coperte per andare alla lontanissima finestra, col pavimento gelido  eccetera eccetera zzzzz. In mezzo ai tuoni ed al picchiare della pioggia contro la finestra, distinguo chiaramente un suono ben più assillante, acuto, forte, RIPETITIVO. Sperare che smetta mentre mi rigiro nel letto non serve a niente, non un attimo di pietà, non un'esitazione. Nulla. Quella fastidiosa insidia mi costringe a mettere timidamente un occhio fuori, e subito vengo bruscamente accecato dalla luce lampeggiante, irrequieta, insopportabilmente attiva. Il contrario di me. Mettere a fuoco. 

Il mio cervello va veloce nel darmi le informazioni necessarie a capire che quel che mi sta svegliando da bellissimi e dolci sogni, è il maledetto cellulare. 

Da qualche parte sullo schermo la scritta "BABA" mi suggerisce chi è che mi sta chiamando, ma sinceramente credo di essermene reso conto dopo aver risposto. Non ricordo esattamente quel che mi ha detto, io la conversazione me la ricordo più o meno così:

BABA: "Oh, si va a Kalymnos?
IO: "Si."

Di lì a qualche tempo, tutto sarebbe stato bianco verde e azzurro.







Il primo giorno sarebbe stato una pacchia, nonostante le ore di volo. Così scalo, stringo, spenzolo, tallono, lancio e... mi appendo (anche), insomma, tutto nella norma. "C'è da conservarsi". "E' il primo giorno". "Non distruggersi". "Andarci piano." Se avessi saputo che quel giorno sarebbe stato l'apice del mio successo in questa tappa greca, forse avrei cercato di approfittarne. Ma non potevo prevedere che LEI sarebbe giunta, l'indomani. 


Forse ancora stavo dormendo, forse ci stavo provando, oppure è stato quando ho aperto gli occhi. Lei c'era, ed io non potevo farci proprio niente.
La chiamerò AGONIA.
Ancora oggi non mi spiego cosa esattamente mi sia successo, molti uomini stanno ancora lavorando al caso, ma pare che l'ipotesi più in voga sia quella di una strana malattia greca che colpisce i maschi senza barba
recando effetti collaterali gravissimi (in rari casi anche mortali) i cui sintomi principali sono:

Debolezza infinita, fatica estrema e perenne,  annaspamento su sentieri, svenimento su pietraie, senso di smarrimento verticale, senso di morte imminente, offuscamento della vista, disagio sociale, ancora senso di morte imminente ed una forte, onnipresente, schiacciante repulsione dalla roccia. 


Per farla breve il tutto sfociava nell'acciaio più totale. Un disastro.

Passano i giorni e non la fatale malattia, ed intanto tutti intorno a me sembrano felici, pieni di energie, Baba in primis più scatenato che mai, e continuano a stamparmi in faccia ogni cosa, compreso tutto ciò che prima di quella vacanza io consideravo alla mia portata. 
Che fare? Cosa dire? Bisognava reagire, a costo di fare rime stupide! 

Il mio amatissimo NRG (alcuni sostengono che fosse semplicemente un motorino noleggiato, ma vi dico che c'era un feeling particolare tra di noi), decide di non fermarsi alla Grande Grotta, ma di continuare la tortuosa stradina che circonda l'isola fino ad un affollatissimo parcheggio, dove su un sasso sta scritto in blu "Secret Garden".

Lì capisco che se volevo farmi valere combinare qualcosa, quello era il giorno, quello il posto: mi sento meglio, (quasi) energico (quasi)...sarà che il sentiero è in discesa...ma andava bene così.

Inizio a scalare, e sebbene la situazione sia notevolmente migliorata, sento che le cartucce da sparare sono ben poche, decido così di farla breve con le vie propedeutiche e tentare il tutto per tutto sulla VIA. Appena ero arrivato in falesia ci avevo messo lo zaino sotto, e gli occhi sopra. Una linea corta, bella, un bel passo di boulder a partire, riposo quasi totale e dopo continuità, da giocarsela. Inoltre, cosa da non trascurare, lungo la via spenzolavano tanti simpatici e amichevoli rinvii montati in precedenza da qualcuno prima di me. Mancava giusto di scalarla. Basta, raccolgo le mie cose e mi ci piazzo sotto. Sento di avere un solo tentativo (forse), poi la malattia si sarebbe impadronita di me, avrebbe fatto aprire mani, tremare gambe, messo il panico negli occhi... probabilmente sarei morto... Ma siamo in Grecia, e bisogna seguire il buon esempio.
Così mi lego, infilo le BOOSTIC, chiamo a me ogni energia rimasta in corpo, e grazie al tifo della mia banda...

...avrei eroicamente avuto la rivincita sull'agonia cronica dei giorni passati. O almeno, ci avrei provato.
Fino alla fine.

Parto, so che non c'è tempo per i convenevoli, LEI mi strapperà dalla roccia se non mi muovo. Scalo, scalo veloce e senza paura, il boulder si avvicina, so che posso farlo, vincendo così il riposo.

Là sarei stato le venti ore necessarie per allontanare l'AGONIA dai miei avambracci, là l'avrei illusa. L'avrei ingannata.


Tiro ste prese, e con il coltello tra i denti, eccomi al riposo. Questa nicchia a metà via è la mia unica speranza. Riposo. Riposo. 

Riposo.

Riposo.

Riposo.

Insomma, due balle!

Riparto, e se ben titubante sull'ultimo passo delicato, mi avvio verso la scia di zappe che mi separa dalla catena, ma proprio mentre tutto sembrava finito, eccola che si fa sentire. Si accorge dell'inghippo, della fregatura.

 "Te la faccio pagare" mi disse, ed io stolto, la ignorai.

Sono ad un paio di spit dalla catena, in mano solo prese enormi. Le braccia pulsano, le dita iniziano ad aprirsi, i gomiti ad alzarsi. Non è possibile. Non ora, non qui. Meglio cadere sul passo chiave sotto, meglio cadere perchè scivola un piede, ma non morire d'acciaio sulle zappe di Dio. 

IO: "Abbi pietà, AGONIA, risparmiami!"
AGONIA: "COL CAZZO!"

Scappare, andare via, fuggire. Scorre veloce la roccia sotto di me, moschetto rapidissimo come un cecchino, nemmeno controllo che la corda sia dentro il moschettone che riprendo la corsa, ed eccomi sotto la catena, un paio di manate, la vedo, mi spenzola in faccia. I gomiti sono talmente alzati che per un attimo ho paura che rimangano così per sempre.

(si, stimo che per i 90 anni mi sia venuta, ed anche lunga)
Respiro, ho il fiatone, ormai so di essere un tutt'uno con AGONIA, ma la catena è così vicina!! Mi basterebbe alzare i piedi di dieci centimetri per toccarla. Non riesco a muovermi. Il corpo è piombo, i gomiti si alzano, le dita lentamente si aprono.



D'un tratto alzo le mani, alzo i piedi frettolosamente. Prendo corda, ne prendo ancora, miro la catena. Spero solo che il moschettone si apra. Ed il moschettone si aprì. "Sirtaky Lessons", onsight c'è.

"AGONIA, fa di me quel che vuoi adesso. Ah, dimenticavo, VAFFANCULO!"

I pochi giorni rimasti della vacanza saranno per me solo birra e spiaggia. Mi preoccupo quando in aereo, al ritorno, le mie braccia sono ancora completamente ghisate, come fossi appena sceso. Così resteranno anche tornato in Italia, qualche giorno ancora. La vendetta di AGONIA. Poi un giorno, esattamente come era venuta, LEI sparì. Niente barbe comunque. Tranquilli.

Ed eccomi qua, rintanato sotto ad uno strapiombo, mentre fuori piove a dirotto. Uno sventurato come me mi si avvicina:

"Sei sempre così misteriosamente sfuggente, non ti si vede mai..scali??"

"Ho appena finito di sghisarmi" penso.

"Scalicchio" dico.


Ci tenevo a fare particolari complimenti a Andrea (BABA) Lottini che ha veramente scalato l'isola con una grinta unica portando a casa grandi risultati. Il resto (posto-panorama-mare-falesie-roccia-vie) lo sapete già. Per non trattenervi oltre, una foto significativa.

Alla prossima!

19.1.13

El corazòn, alla muerte!


Ancora una volta mi trovo a guardare fuori dal finestrino, fuori, paesaggi e binari: quel treno che ho preso un anno fa per Torino, non si è ancora fermato, nè mai si fermerà.

E' ripensando e guardando indietro, che mi trovo a toccar con mano questa incredibile morale: potrei raccontare mille volte la stessa storia, e mille volte sarebbe diversa, tante sono le sfaccettature, le piccolezze ed i dettagli che silenziosamente, ne hanno influenzato il corso. E' proprio vero che la vita è un viaggio, dove non si sfa mai veramente il proprio bagaglio, persino quando la realtà ci mostra intenti nell'esatto contrario: come non si smette mai di imparare, non si smette mai di viaggiare...

Certe volte si è obbligati a scegliere una direzione e a prenderla, altre volte invece si arriva come naufraghi per caso, al momento giusto nel posto giusto, guidati dal concatenarsi di infinite casualità, e come queste anche noi incastrandoci con altrettanto infinite situazioni, diventandone parte.

Scelte, chiudere porte per aprirne altre, rifare i bagagli, lasciare, trovare, scoprire e scoprirsi. Ancora una volta fan da cornice ai miei pensieri posti nuovi, nuove rocce, nuove avventure verticali, e l'arrampicata gioca con me, e lo fa là, di nuovo sotto il sole della Spagna.



Una bella compagnia ed un pò di giorni davanti al naso. Strisce di calcare azzurre e gialle si susseguiranno nelle ultime giornate di questo 2012, e si scala, ci si spalma sulla roccia come lucertole, salutando inconsciamente un pò tutto quello che è stato, ciò che ci è stato offerto, lasciandoci alle spalle un pò tutto e forse niente, ma chi per sempre e chi solo per quei pochi giorni in cui niente c'era tra sè stessi e la roccia. 

Libertà.


Le valli della Catalunya scorrono veloci fuori dal furgone, una bella musica nella testa e via.


Colori e musica, le pareti di Siurana sembrano davvero dipinte ad acquerello, ed i buchi di Margalef anch'essi sistemati con estrema precisione da un'artista scalatore, tanto sono perfetti, come loro i movimenti, le sequenze.

E' proprio in mezzo a questo universo di roccia e di bellezza, di movimenti, di cieli senza nuvole, azzurri quasi fosforescenti, di valli infinite dietro a valli ancor più infinite, che il pensiero che mi rimbalza in testa da qualche mese prende sempre più piede, mi stringe in un angolo della testa senza lasciar quasi spazio per nient'altro.

Siamo noi che facciamo l'arrampicata o è lei che fa noi?


Chiudo gli occhi ed ancora mi sembra di vedere casse di prese in resina, chiavi brugole ed avvitatori diventati veri e propri colleghi nei mesi che mi sono appena lasciato alle spalle. Nella mia testa si susseguono immagini e movimenti, sequenze e metodi, in un vortice di prese, volumi, colori e nastri. Creare è sempre stata cosa più che naturale per me. Il disegno, la scrittura... e sin dalle prese grigie ed unte del vecchio muretto abbandonato di Viareggio, alle prese nuove e luccicanti del Bside, ho sempre messo in verticale ciò che mi ronzava per la testa, concretizzando idee, toccandole con mano dopo averle circondate di prese. Ma la prima vera volta in cui ho potuto esprimere e sfogare tutta la mia voglia di avvitare è stata proprio all'Area51 di Follonica, quando lavorando alla mia creatura, il ROCK'NROLLA Boulder Contest, ho sudato in uno stremante tour de force che ha portato tanti sorrisi e tanto divertimento, e che a sua volta ha portato me a Carrara per l'Apuan Rock Climbing Fest, poi ancora a Firenze per il THE DAY AFTER Boulder Contest

Inconsciamente mi sono fatto cullare, guidare e trasportare dagli eventi, naufragando con gioia in un mare di occasioni, capitate per caso o forse no, ma che alla fine mi hanno portato esattamente dove dovevano. 

Ed eccomi là, con la brugola in mano, mi aggiro in cerca dell'appiglio perfetto, quel che serve per completare l'ennesima opera su chissà-quale-pannello in chissà-quale-palestra, ed a malapena mi accorgo di quanto sia la più sana creatività a guidare i miei pensieri: riprodurre movimenti, crearne di nuovi, originali, fuori dagli schemi, andando a rasentare il limite tra la scalata e chissà cos'altro. Tutto questo mi affascina, e mi fa sorridere: dopo 15 anni, ancora l'arrampicata continua a stupirmi, e con lei le infinite possibilità che si hanno di fronte ad una tela con un pennello e un pò di colori, o di fronte ad un pAnnello con un avvitatore ed un pò di prese

Con queste parole che timidamente affollano la mia testa, continuo ad avvitare, finché tutto va oltre, finché diventa impossibile ignorare, finché non posso che chiedermi:
Tutto deriva dall'arrampicata, o in essa tutto sfocia? Siamo noi a far della roccia il nostro mezzo, lo strumento per la nostra continua voglia di salire, sfruttando la capacità che il nostro corpo ha di adattarsi a lei, oppure è lei che ci indirizza, che ci insegna, ci guida affinché anche noi, come studenti somari, arriviamo alla giusta soluzione? 

Quando passiamo da un appiglio ad un altro, siamo noi che decidiamo razionalmente come farlo, oppure è già scritto nella roccia quale sia il modo ideale e perfetto di farlo?

E' troppo pensare che forse, in grande, questo vale anche per la vita? Siamo noi a far lei...o infondo, è sempre stata lei a far noi?

Penso e traccio, creo, invento, mi faccio domande, mi diverto a non trovar risposte e scalo...

Poi, come riaprendo gli occhi dopo un lungo sonno, torno a guardare al presente, e vengo catapultato lì, in quel posto in quel preciso momento.




Il sole sta per scendere a Margalef, il tempo per i pensieri scarseggia, adesso devo pensare solo ad una cosa: il sogno è ancora là, e di certo non aspetterà ancora. La ciliegina sulla torta. So che allungando la mia mano, posso ancora prendermela.



Non m'illudo: so bene anche che ci sono momenti in cui non basta credere in sè stessi, nelle proprie capacità. 


Alcune volte semplicemente bisogna esser pronti a lottare e morire se necessario, dando tutto anche quando intorno a noi ci sono solo "NO".


Consapevoli di cosa significhi fallire, di cosa significhi rimaner delusi dalle cose... 


...dar tutto e ricevere soltanto un pugno di mosche ed un pò d'amaro in bocca. 


Perchè di tanto in tanto è così che funziona. 
Proprio con questa consapevolezza, continuare ad andare avanti, a salire.


E se a metà del viaggio, mentre il treno continua a scricchiolare veloce, iniziate a chiedervi "perchè?"..


...sappiate solamente che potrà non esserci risposta.


Se così sarà, allora vi renderete conto di come niente conti più di quel che state facendo, in quel momento ed in quel modo. Non il successo, non il fallimento. Continuare a viaggiare e a salire, nel bene e nel male, solo per sè stessi, e sicuri soltanto di quel sorriso che naturale, si ha sulle labbra: la semplice gioia d'aver dato tutto senza chiedere nulla in cambio

Perchè spesso alcune volte amare non basta...

si deve avere il coraggio di farlo, e di farlo ALLA MUERTE!